Omicidio Habassi: prima udienza a fine aprile. I sei mattatori accusati di omicidio volontario pluriaggravato

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E’ passato quasi un anno dal cruento delitto di Mohamed Habassi, il tunisino ammazzato a colpi di mazza da baseball e tirapugni, torturato con una tenagalia e lasciato affogare nel proprio sangue la notte tra il nove e il dieci maggio 2016.

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Dopo indagini, testimonianze e smentite (rileggi: Omicidio Habassi, testimone smentisce Del Vasto e Alberici: “Loro i seviziatori”), la Procura ha chiuso il cerchio: l’accusa, per tutti i sei imputati, è di omicidio volontario pluriaggravato da crudeltà e futili motivi in concorso, ma la premeditazione viene contestata esclusivamente a Luca Del Vasto, furioso con Habassi che non pagava più l’affitto, dopo la morte della compagna e madre di suo figlio Giovanna Tranchida in un incidente stradale, ma non intendeva andarsene di casa, e all’amico Alessio Alberici.

Ma, se ad Alberici è stata concessa la semiinfermità mentale per l’uso di cocaina precedente la mattanza (rileggi: Omicidio Habassi: Del Vasto voleva uccidere, Alberici incapace di intendere e volere?), a Del Vasto, barista del Buddha Bar a Sala Baganza,  no.

Era furioso con Habassi, che dopo la morte, tragica, di Giovanna, postina di Monticelli, finita nel fosso con l’auto e morta sotto gli occhi del figlio rimasto illeso, non lasciava l’alloggio di Montechiarugolo di proprietà della compagna, non pagava l’affitto e lo scherniva pure quando chiedeva al tunisino di andarsene.

Così Del Vasto, raccolti al bar i compagni di missione, Jonel Togan, Cristinel Barbu, Jonel Vrabie e Valentin Kosma, e Alberici appunto, è andato a Montechiarugolo armato ubriaco e imbottito di cocaina. L’obiettivo, hanno sempre detto a loro difesa i quattro romeni,  di sgombrare l’alloggio, non di uccidere. Ma è finita diversamente.

Chiuse le indagini, l’udienza è stata fissata per fine aprile: sarà presente anche il legale della mamma di Giovanna Tranchida, nonna dello sfortunato figlio di Habassi e Giovanna. E’ affidataria del piccolo Andrea Samir, “sequestrato” dai nonni paterni e tenuto in Tunisia.

Chissà che il processo non possa dare un po di pace, almeno a lui.

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