Antisemitismo negli stadi: curve e politica. E una storia di resistenza tutta parmigiana

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Antisemitismo allo stadio, Anna Frank e i laziali, nulla di nuovo, in verità, considerato che la politica tra gli ultras esiste da sempre, e spesso è motore delle Curve stesse molto più del calcio.

La politicizzazione all’interno delle Curve è un fenomeno tanto diffuso quanto complicato da intendere: i primi barlumi di politica nei settori popolari degli stadi Italiani si hanno all’incirca a metà degli anni ’70, quando la situazione politico-sociale era al quanto complessa, e dalle piazze il malcontento si spostò sempre più verso l’esternazione degli ideali durante gli eventi sportivi, calcio prima e altri sport dopo. Si trattava comunque di un malcontento eterogeneo che caratterizzava sia le frange proletarie della popolazione che quelle più borghesi.

Basti solo pensare alla netta contrapposizione tra i tifosi Milanesi di Internazionale e Milan a cavallo tra gli anni ’60 e ’70: i Supporters nerazzurri (rappresentati dal 1969 dalle “Squadre d’Azione Nerazzurre” – poi divenuti Boys San – e dagli Ultras dal 1974) derivavano da uno stampo più borghese rispetto a quello dei cugini Milanisti, rappresentati dalla Fossa dei Leoni dal 1968, la quale origine era sicuramente più operaia e sindacalista.

Emblematico da questo punto di vista il soprannome dei sostenitori rossoneri: “Casciavit” (in Milanese “Cacciaviti”) e quello degli Interisti: “Bauscia” (che indica in senso ironico una tipologia di piccolo imprenditore).

Va tenuto presente che col tempo, vista la presenza di fazioni Ultras schierate politicamente, talvolta le Curve sono state utilizzate come vero e proprio bacino elettorale.

La politicizzazione di una Curva si manifesta soprattutto nei cori, nei drappi e talvolta anche nei nomi: Squadra d’Azione Nerazzurra e Skins per l’Inter e le Brigate Autonome Livorno dichiaratamente di simpatie di sinistra, solo per citarne qualcuna.

Oltre a Livorno e Milano, anche la Capitale non è da meno, ormai famosa e assodata la simpatia per gli ambienti di estrema destra degli Irriducibili Lazio e, seppur in maniera meno “espansiva” anche della Curva Sud della Roma.

Per contrapporsi alla maggiore espansione dei pensieri estremisti nelle Curve Italiane, nesce nel 1995, con i finanziamenti dell’Unione Europea e della Regione Emilia Romagna, “Progetto Ultrà”, al quale aderiscono alcuni gruppi organizzati di Terni, Ancona, Genova (sponda rossoblu), Perugia, Venezia, Caserta e successivamente vi si affacciarono anche alcune realtà di tifo simpatizzanti a destra, nell’intento di creare un movimento unitario degli ultras contro le derive del calcio moderno. Questo progetto nasceva dunque con l’obiettivo di responsabilizzare le “nuove generazioni” di ultras attraverso la vita all’interno del gruppo, vita fatta di impegni che vanno oltre la volontà esclusiva di scontrarsi con gli avversari di fede politica differente ma fatta di cultura ultrà, cultura che va dalla redazione di materiale di informazione (Fanzine, volantini, comunicati, ecc.), studio di nuove coreografie e nuovi cori; facendo passare in secondo piano la possibilità di incidenti e disordini dentro e fuori lo stadio.

Importante però precisare che anche i gruppi aderenti a questo progetto non hanno escluso completamente la violenza come linguaggio e comportamento.

Altro progetto-specchio, ma autofinanziato e con valori nettamente più politici, si ha con la nascita del Fronte di Resistenza Ultras, promosso maggiormente da Livornesi e Ternani.

Questo nuovo movimento interno, esclusivamente delle curve dichiaratamente di sinistra estrema, aveva l’obiettivo di eliminare il razzismo all’interno degli stadi sì, ma tentando di lottare (anche con metodi violenti) le tifoserie simpatizzanti della destra estrema.

A differenza degli anni ’90, ora gli Ultras sono meno frazionati dalle idee politiche di base, sono una vera e propria forza anti-sistema, che spesso rimane latente sotto la coltre spessa di divisioni ataviche, ben oltre la semplice questione politica.

A proposito di antisemitismo… figlio spesso più di ignoranza che di ideologia, rileggiamo cosa raccontava la delicatezza della penna del reporter e fotografo parmigiano Giovanni Ferraguti. Un articolo del12 maggio 1993, dove racconta la storia del deportato 126491, il parmigiano Annibale Visconti.

Nell’intervista Visconti racconta: “ero nel campo di Mauthausen ,ogni giorno i tedeschi annientavano nei forni crematori e nelle camere a gas centinaia di deportati; sceglievano i più deboli…io ce l’ho fatta…pesavo 25 chili quel 5 maggio del 1945 quando sono tornatoi libero”.

Una storia bellissima, di speranza e vita in mezzo alla morte. Perché  nessun Ultras del Parma venga mai in mente di imitare… quelli della Lazio.

Per inciso, leggere Anna Frank allo stadio non serve a un tubo (Ascoli docet). La cultura ci salverà, l’ignoranza ci riporterà in guerra. Servirebbe insegnare storia negli stadi… o forse, una riforma decente delle scuole. Servirebbe l’immortalità per tutti gli Annibale Visconti del mondo: nel loro insegnamento un futuro di civiltà.

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