5 PER MILLE: COSA È IN CONCRETO E PERCHÉ È IMPORTANTE PARTECIPARE

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Il 5 per mille è una quota dell’IRPEF che lo Stato redistribuisce su indicazione dei cittadini (contribuenti nell’ambito fiscale) al momento della dichiarazione dei redditi. E’ in pratica una quota volontaria d’imposta sui redditi che si può destinare ad associazioni, enti ed organizzazioni non governative iscritte presso l’elenco dei beneficiari, tenuto dall’Agenzia delle Entrate. Introdotto con la finanziaria relativa del 2006, il 5 per mille è stato sempre confermato dalle successive leggi finanziarie, fino alla sua consolidazione nel 2014. Qualsiasi organizzazione può iscriversi, a patto che rispetti determinati criteri. Il più importante è “l’obbligo di rendicontazione” dove bisogna presentare una relazione dettagliata che controprovi le attività svolte, certifichi le relative spese sostenute in modo trasparente. Tali documenti devono contenere anche indicazione di un eventuale accantonamento della somma percepita o di una sua parte, anno per anno.

Le finalità del 5 per mille sono espressamente definite nell’ambito dalla legge. Possono infatti beneficiare del 5 per mille qualsiasi ente non governativo legato al terzo settore, alcune amministrazioni pubbliche (le cui attività rientrano nelle finalità definite dalla legge e possono pertanto accreditarsi) ed anche i comuni, che però sono vincolati a destinare le risorse alle proprie attività sociali. Chiarito quindi che 5×1000 è una scelta filantropica che consente ai contribuenti di destinare una loro quota delle proprie tasse per aiutare il terziario e l’ambito sociale, vediamo quali sono i settori coinvolti:

  1. Finanziamento degli enti per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale.
  2. Sostegno alla ricerca scientifica e dell’università
  3. Finanziamento della ricerca sanitaria
  4. Sostegno del comune di residenza del contribuente per le attività sociali
  5. Tutela e promozione dei beni culturali e paesaggistici
  6. Sostegno e gestione dell’ambiente e del territorio
  7. Aiuto alle associazioni sportive dilettantistiche,
  8. Tutela e promozione dei beni culturali e paesaggistici

Nel primo punto si parla di terzo settore. Quest’ultimo è un insieme di enti di carattere privato (ma anche pubblico) che agiscono in diversi ambiti: dall’assistenza alle persone con disabilità all’inclusione e la tutela dei diritti, dalla tutela dell’ambiente ai servizi sanitari e socio-assistenziali, progetti di sostegno e diffusione della cultura etc etc.. . Il Terzo settore esiste da anni ma è stato riconosciuto giuridicamente in Italia solo nel 2016, con l’avvio della riforma che lo interessa e ne definisce confini e regole di funzionamento. Il terzo settore non è solo impegno sociale organizzato, ma è anche un motore importante dell’economia del paese, ispirata da finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale condivise.

In questo grande raggruppamento, rientrano anche la maggior parte delle organizzazioni non governative come WeWorld che da 50 anni si impegna in progetti per combattere violenza ed ingiustizie e lavora per il riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni essere umano, in particolare di donne, bambine e bambini. In Italia, WeWorld è altresì determinata e lotta contro la disperazione scolastica dove ogni anno moltissimi giovani tra i 18 ed i 24 anni abbandona precocemente i banchi di scuola (circa 12.5% nel 2021). Sebbene questo fenomeno nazionale sia da diversi anni in calo, molto va ancora fatto, soprattutto se si guarda all’obiettivo 2030 del 9%. Attraverso il progetto #RiempiamoiBanchi e le donazioni ricevute dal 5 per mille di WeWorld, l’organizzazione punta a riportare a scuola bambini e bambine di tutto il mondo, favorendo una maggiore inclusione verso la cittadinanza globale e garantendo un’educazione di qualità per realizzare a piene opportunità il futuro delle generazioni ed il progresso della società.

DISPERSIONE SCOLASTICA: ALCUNI DATI

La situazione nel nostro paese viene monitorata da analisi e report annuali divulgati dal Ministero dell’Istruzione, l’ISTAT e l’INVALSI. Come detto sopra, il tasso di abbandono scolastico nazionale è del 12,7% e la percentuale dei NEET (cioè dei giovani che non studiano, non seguono percorsi di formazione e non lavorano) si attesta sul 23,1%. In alcune regioni del sud, dove la situazione è più complessa (come Sicilia, Campania e Calabria) i NEET compresi nella fascia 15-29 anni hanno addirittura superato i loro coetanei che lavorano (3 giovani NEET ogni 2 giovani occupati). Secondo alcuni report di INVALSI infine, l’analfabetismo di ritorno (ovvero che non raggiunge livelli adeguati di comprensione e lettura di un testo, oppure ha problemi ad eseguire semplici operazioni matematiche…) che colpisce le giovani generazioni è passata dal 34% del 2018 al 39% del 2022. I risultati si fanno ancora più preoccupanti se guardiamo alle differenziazioni regionali. Una lettura dinamica del nostro paese ma che incoraggia ancora a fare di piú.

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