Via Burla: morto detenuto 69enne in attesa della semilibertà

Mario Serpa stava scontando l’ergastolo. La vita lo ha liberato con la morte

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Mario Serpa è morto nel carcere di Via Burla, nel settore di Alta Sicurezza, a 69 anni. Il 28 giugno.

Da 40 era in carcere, aveva ottenuto la semilibertà, che gli era stata poi revocata per un vuoto giurisdizionale e stava di nuovo aspettando.

Sardo, nel 1979 gli avevano ucciso il padre sotto gli occhi, nei campi che lavoravano insieme. Una vendetta trasversale, lui aveva dato indietro il “favore”.

Ergastolo, mentre anche la vita fuori presentava il conto: la moglie morta nei primi anni ‘90 di tumore, lasciando tre figli di cui due profondamente disabili.

“Mario era un mio amico, un brav’uomo, perché si può commettere gravi reati ed essere una bella persona, ma non sempre purtroppo è vero il contrario. Non sempre chi non commette reati è una brava persona e non lo sono certo quelle persone delle istituzioni che hanno lasciato morire Mario chiuso in una cella, soprattutto perché lui da tempo non era più l’uomo del reato”.

Lo racconta così Carmelo Musumeci, scrittore, uomo di legge. Ex detenuto. Cui lo stesso Serpa scrisse una lettera, ripresa dal Riformista.

“All’ultimo laboratorio nel carcere di Parma, l’11 giugno, era seduto davanti a noi e aveva raccontato di nuovo la sua storia. Gli avevano tolto la semi-libertà, neanche la libertà piena. Poi gli hanno tolto la vita, tutta, anche la poca che gli restava. La giustizia lo aveva condannato all’ergastolo, l’appendice penitenziaria della giustizia lo ha condannato a morte. Carcerato da una vita e per tutta la vita, condannato a una pena da non finire mai, la sua pena è finita all’improvviso. In un modo che fa letteralmente pena, che segna anche la morte del diritto, della giustizia, della pietà.
“… A settembre 2006 ho avuto la fortuna di ottenere la semilibertà, fruita in Arborea, in provincia di Oristano. A novembre 2010, per mia richiesta, fui trasferito al penitenziario di Opera (MI), sempre in semilibertà. Dietro mia richiesta, a gennaio 2011, spostai la mia semilibertà al carcere di Pavia. Senza mai aver commesso nessuna infrazione, all’alba del 30 marzo del 2012, con una ordinanza di misura cautelare, sono stato chiuso dalla semilibertà e portato in cella, nello stesso carcere di Pavia.

Dopo circa un mese, il Tribunale di Sorveglianza di Milano mi revoca la semilibertà; fatto sta che, nell’immediatezza di questa revoca, fui trasferito al carcere di Padova. Da qui, per il processo in videoconferenza, mi mandarono al carcere di Tolmezzo. Dopo aver subito una condanna a 20 anni per la sola associazione mafiosa (per il reato estorsivo fui assolto), fui trasferito qui a Parma dove tutt’ora mi trovo. A marzo 2017, la Corte di Appello di Catanzaro mi assolve definitivamente anche da questo capo d’imputazione e, poiché il Procuratore Generale non ritenne opportuno ricorrere in Cassazione, il 5 giugno del 2018, questa sentenza passò irrevocabile. Il fatto che il P.G. non fece ricorso in Cassazione la dice lunga sulla fondatezza delle accuse (e non solo…) … Dopo circa un paio di mesi, il tempo di preparare tutta una serie di documentazioni, i miei avvocati presentarono al Tribunale di Sorveglianza di Bologna la richiesta della semilibertà. La Camera di Consiglio ci viene fissata il 5 novembre del 2019; la decisione di rigetto di questa Camera di Consiglio mi è stata notificata il 7 febbraio dell’anno in corso”.

Nel cimitero degli elefanti di Via Burla, Serpa se ne è andato attendendo una risposta. È questa la vera giustizia?

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