“Non c’è dignità senza lavoro”: la lettera di una “disoccupata da lockdown”

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“Non c’è dignità senza lavoro”. Inizia così la lettera di Sara, il nome è di fantasia.
Sara ha 42 anni, due figli, una famiglia solida alle spalle. “Non faccio e non farò la fame – precisa – non sono disperata, ma arrabbiata”.

Sara ha perso il lavoro come tanti, troppi, a causa del lockdown. “Ritenevo di aver trovato un posto ‘sicuro’ – spiega. Un’azienda abbastanza grande da essere solida. Un posto normale, da impiegata qualificata.

Ma il lockdown ha messo in ginocchio abbigliamento, auto, molti altri settori. E le aziende dell’indotto ‘tagliano’. E’ toccato a tutti i contatti a termine, nei mesi. Ora a me”.

Sara andrà in disoccupazione. “Non è la paura a prevalere, non in questo momento. Qualcosa troverò, e comunque ci sono gli amortizzatori sociali, e la famiglia. Sono e resto una privilegiata”.

È la rabbia che prevale. “Non c’è dignità senza lavoro. Mai. Che Stato è quello che non sa garantire posti di lavoro a chi ne merita uno? Non mi interessano discorsi idioti sul caporalato, sui migranti, o sulla mafia.

Mi interessano risposte. Sulla Cassa Integrazione che non ho ricevuto. Sulla Disoccupazione che forse percepirò. Su un titolo di studio sudato e costoso, in ogni senso, oggi carta straccia. Sul mio futuro, su quello di un paese in cui ho sempre creduto ma in cui ora non mi riconosco più.

Mi interessa sapere cosa dovrò rispondere ai miei figli, cui ho sempre detto che il lavoro è dignità e ruolo sociale, anche se umile, quando mi chiederanno perché la mamma è sempre a casa.

Mi interessa qualcosa che renda sensato alzarsi la mattina, è possibile uscire la sera. Sono spaventata? Forse. Sicuramente delusa, amareggiata è arrabbiata”.

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