Senza il guaio Mall, Pizzarotti avrebbe potuto essere il patron del Parma…

0

(di Gabriele Majo, direttore responsabile di StadioTardini.it) – Un post su una nota piazza virtuale dei tifosi del Parma, frequentata anche da addetti ai lavori, postato da uno che sembra che la sappia lunga al riguardo, o, in termini giudiziari, persona informata sui fatti, ha colto la mia attenzione: questi, domenica scorsa, prendendo spunto dalla fresca attualità –  ossia dall’intervista, appena uscita, del direttore della Gazzetta di Parma Claudio Rinaldi al noto imprenditore Paolo Pizzarotti, dominus della omonima longeva impresa (e, caro Davide, forse l’unico vero potere forte, inteso come quello anni ’70 del mitico Giorgio Orlandini, della città: l’Upi odierna credo sia lontana parente da quella, e l’uomo con la pipa un po’ meno influente rispetto ad Urlànden sui nostri destini) in tema mall, conclusa con la clamorosa notizia che si starebbe profilando (come da titolo) Verso una richiesta di risarcimento (monstre) di oltre 100 milioni (il che significherebbe, in buona sostanza, mandare in bancarotta il Comune) – sostiene che, senza il suddetto intoppo dell’Urban Distcrit, “il Parma sarebbe ancora italiano”.

Il nostro appunta: “Dopo aver ripreso la società dai cinesi, si era infatti riusciti a convincere il Pizza Senior (definizione che questi potrebbe ritenere fastidiosa, nda), a diventare a tutti gli effetti patron del Parma Calcio. Circostanza che, nel mio piccolo, ritengo di poter confermare: del resto, prendendosi la briga di andare a spulciare lo spazio commenti di StadioTardini.it si potrebbero rinvenire antiche risposte dell’Umarèll che vi sta scrivendo, contenenti la celebre metafora della sposa scappata davanti all’altare.

 

L’autore del post, prosegue, ricostruendo l’interessante scenario: “Dallara e Del Rio sarebbero usciti. Barilla, Gandolfi, Ferrari, Malmesi sarebbero rimasti con quote personali del 5% con la famiglia Pizzarotti all’80%.” Del resto, i due erano in pratica già fuoriusciti prima, anche se, per la riuscita dello story telling, ufficialmente appariva ci fossero ancora, nonostante non avessero più partecipato attivamente, diciamo così, all’attività del circolo di amici che si era messo insieme, nove anni fa, per salvare la tradizione calcistica cittadina.

Ai tempi del calcio biologicodefinizione che un gruppo di cronisti (quorum ego, poco prima di lasciare la libera professione giornalistica per diventare parte integrante del Parma Calcio del Nuovo Inizio, quale responsabile ufficio stampa e comunicazione) estorse a Nevio Scala, nell’androne del palazzo di Via Repubblica che ospita gli uffici dello studio notarile Almansi – la mission era quella di evitare che ci potesse essere, in futuro, un nuovo Ghirardi, ossia un mono-proprietario, che potesse da solo sancire le sorti del club. E, infatti, la multiproprietà era tesa a compensare compiti e responsabilità tra i vari soci, evitando derive assolutistiche del singolo.

A pensarci oggi, con la proprietà in mano a Kyle Krause, viene un po’ da sorridere: del resto, però, un colpo di spugna all’utopistico calcio biologico arrivò ben presto, circa un anno e mezzo dopo, con l’allontanamento di Scala e dei suoi uomini, e l’ingaggio di un ds che, nei modi, somiglianza fisica e anche nella scelta del profumo personale, ricordava un po’ il deposto Plenipotenziario Leonardi, ossia Daniele Faggiano. Quindi, se anche la famiglia Pizzarotti fosse arrivata a detenere una quota di controllo dell’80%, il sedicente modello tedesco era già stato da tempo accantonato.

La narrazione su ParmaFans prosegue così: “Si erano già definiti i ruoli in società nei dettagli e presi tutti gli accordi. Ma la vicenda mall, con la ciliegina Covid ad inizio 2020, mise in difficoltà – insieme ad altre questioni l’azienda. I Pizzarotti capirono che non era il momento più adatto per diventare proprietari di una squadra di Serie A, fecero un passo indietro e si dovette ritornare al piano originario, con la ricerca di un investitore esterno, culminata qualche mese dopo nella cessione a Krause“. 

Lasciando perdere le altre questioni, indubbiamente la vicenda mall può aver avuto il suo peso, dal momento che «per un investimento così dilatato nel tempo e finora senza alcun esito», Pizzarotti ha investito (non so se il verbo scelto sia proprio il migliore…) «In tutto, fanno 80 milioni, non un euro di meno», «Perché il leit-motiv di questa lunga storia è che noi abbiamo sempre mantenuto le promesse e tenuto fede agli accordi presi, a differenza del Comune».

Senza voler entrare, a nostra volta, nella vicenda, per par condicio segnaliamo che all’intemerata pizzarottiana sulla Gazzetta, avrebbe poi risposto, un indignato primo cittadino Michele Guerra con una lunga nota di replica che abbiamo avuto modo di leggere su Parma Repubblica in cui afferma: “L’Amministrazione comunale ha sempre interloquito con tutti i soggetti attuatori – di qualsiasi natura e dimensione – all’interno delle sedi istituzionali, nonché comunicato con essi per le corrette vie istituzionali e attraverso canali ufficiali. Così continuerà a fare per il giusto rispetto che si deve a un Ente pubblico rappresentato pro tempore e garante degli interessi della collettività”. Anche se concrete soluzioni che possano soddisfare l’investitore e, finalmente, cancellare quell’ecomostro che fa da biglietto da visita di Parma sull’Autostrada del Sole, mi paiono lontane. Ma, appunto, non è nostra materia, anche se qualche riflessione sorge spontanea, pensando, per esempio alla vicenda stadio, dove, apparentemente, investitore privato e soggetto pubblico paiono allineati, ma chissà se sostanzialmente sarà davvero così…

La conclusione del succitato post, che ha ispirato la presenta articolessa, – circa il dilemma meglio Krause o Pizzarotti? – è la seguente: “Chissà come sarebbe andata… Meglio? Peggio? Impossibile dirlo. Tendo ad essere un po’ fatalista e quindi penso semplicemente che era destino andasse così”. Ognuno di noi, ovviamente, è libero di pensarla come meglio crede, la mia opinione al riguardo, sempre che a qualcuno possa interessare, non la svelerò neanche sotto tortura…

L’occasione, poi, ci è utile per ritirare fuori dal nostro freezer – dove l’avevamo ghiacciato l’ormai lontano (in termini di stretta attualità) mercoledì 24 gennaio 2024 – un “contenuto premium” della Gazzetta dello Sport, a firma di Andrea Schianchi, dal titolo: “Una missione, i Magnifici Sette e Capitan Lucarelli: dalla Serie D alla Serie A, l’impresa del Parma”scandita con le tappe ripercorse “di quella vicenda, anche perché possa rappresentare un esempio virtuoso in un ambiente che spesso si dimentica delle cose belle“. Purtroppo, anche nello spazio commenti di StadioTardini.it fioccano i detrattori dei Sette, sovente accusati, a torto, di esser scappati. In effetti, se Pizzarotti, come si era abilmente lavorato affinché accadesse, fosse diventato l’uni-proprietario del Parma, il capolavoro sarebbe stato ancor più memorabile, ma che si trattasse di una start-up destinata a passare di mano – al di là del ricordato romanticismo iniziale, tanto biologico, quanto utopico – i protagonisti lo avevano sempre dichiarato, senza voler illudere nessuno, non desiderando diventare imprenditori calcistici, preferendo continuare ad occuparsi del proprio core business.

Il contenuto premium della Rosea, quindi, dovrebbe aiutarci a meglio comprendere e valutare, dopo qualche anno, i contorni di una storia unica, che non sempre la si è saputa apprezzare, una storia, come scrive Schianchi, che testimonia come “lo spirito di sacrificio, la competenza e la passione di un’intera città” facciano “la differenza e segnano il confine tra il possibile e l’impossibile”. “Meno di tre anni: dal 30 giugno 2015 al 18 maggio 2018. Nessuno era mai riuscito in così poco tempo a balzare dai Dilettanti alla Serie A. L’impresa l’ha compiuta il Parma concludendo una cavalcata che è stata davvero come la Marcia Trionfale dell’Aida musicata da Giuseppe Verdi.”

Se poi si dà un’occhiata alle cifre di quella gestione, ossia 35 milioni investiti dai “Piocioni” in cinque anni, con l’aggiunta dei 23,5, gentilmente donati dal socio cinese, con risultati sportivi come la triplice scalata del Come noi nessuno mai, oltre a due salvezze e un nono posto, non c’è che da scappellarsi. Qualcuno, ogni tanto, prova a rimpiangere persino quell’imprenditore con la I maiuscola di Giuseppe Corrado: proprio oggi, martedì 6 febbraio 2024, sulla Nazione, leggiamo i numeri del Pisa suo, di suo figlio Giovanni, di Enzo Ricci e, of course, di Alexander Knaster (altro proprietario del Parma mancato): “73 milioni in tre anni, l’investimento del Pisa tra stipendi e calciomercato. I nerazzurri sono fra le squadre in Serie B che hanno speso di più: 26 milioni soltanto per questa stagione”. Nell’analisi di Michele Bufalino emerge anche qualche confronto col Parma: “Da tre anni il Pisa è costantemente tra le prime cinque squadre che hanno speso di più sul mercato”, tra queste non figura il sodalizio Crociato, per cui procediamo oltre: “L’anno scorso i nerazzurri furono la seconda squadra ad aver speso di più (oltre 13 milioni) mentre il Parma ha investito 20 milioni, a fronte di 15 di introiti delle cessioni”. E poi: “Il Pisa resta al terzo posto anche nella classifica della stagione 2021-22, dietro solo al Parma con una spesa monstre di 33,13 milioni e al Monza, che spese quasi la metà di quanto investito dal Parma, vincendo poi la finale playoff contro i nerazzurri”. Ma i soldi fanno la felicità? (di Gabriele Majo, direttore responsabile di StadioTardini.it)

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here