Peste suina: la Felinese mette in cassa integrazione 350 dipendenti

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La Felinese, storico salumificio con sede a Felino, ha chiesto la cassa integrazione per i suoi 350 dipendenti. E’ la prima richiesta di cassa integrazione per i lavoratori in seguito all’emergenza della pesta suina.

A metà dello scorso mese l’animale con la peste suina è stato rinvenuto a Fornovo, in seguito la Zona di restrizione 2 è stata allargata alle aree di Collecchio, Sala Baganza e Felino. Secondo le norme, nessun salume con una stagionatura inferiore ai 400 giorni può uscire da quel territorio e quindi non può essere esportato in Canada, Stati Uniti o Giappone, alcuni dei Paesi con cui La Felinese esportava i suoi prodotti. Come sottolineato dall’amministratore delegato Cesare Baratta al Sole 24 Ore, oltre il 50% delle esportazioni dell’azienda sono dirette verso il Nordamerica. Invece, tutti e cinque gli stabilimenti della Felinese si trovano dislocati all’interno dell’area di restrizione.

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“Abbiamo previsto l’intervento dell’esercito – ha sottolineato il Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida a Cibus – e della protezione civile ma c’è un altro lavoro da fare per invertire lavoro in Europa perché se c’è un cinghiale infetto nel raggio di alcuni km non esporti più: è sbagliato. Va fatto un lavoro a livello europeo e stiamo lavoriamo con altre nazioni per raggiungere un accordo”.

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