“Ciao Corradone”: applausi e lacrime per l’ultimo saluto a Marvasi

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Un lungo applauso. Una marcia leggera sulle note del Va Pensiero, suonato dalla Corale Verdi. Cori da stadio, ma composti come il dolore. Bandiere.

L’ultimo saluto a Corrado Marvasi ha raccolto tutte le “sue Parme”.

C’era Al Dsèvod, la maschera della Famija Pramzana, le bandiere ARCI e dei Lyons, Marco Bosi, vicesindaco e assessore allo sport con la fascia tricolore, il Parma Calcio di ieri e di oggi.

C’erano i “suoi” anziani, gli ultimi, i soli, le persone in difficoltà fisica. Quelli che vedono poco, cui coi Lyons procurava vecchi occhiali da vista.

C’era Sergio, l’amico storico cui il diabete ha mangiato una gamba: lo mandava a prendere con un pulmino per non lasciarlo solo. Per loro lui era preoccupato, negli ultimi mesi in ospedale: agli amici chiedeva di fare un salto al circolo, il “suo” Aquila Longhi” per vedere come andava.

Per loro lui prendeva pulmini sempre più grandi, per avvicinare le dimensioni a quelle del suo cuore enorme: lo stipava di persone e cibo per le trasferte del “suo” Parma. Non diceva mai no a nessuno, doveva esserci posto per tutti.

Come nella sua vita.

Ad accompagnare il corteo, solo un composto dolore, come se la disperazione e lacrime avessero già lasciato posto al mandare avanti ciò che lui ha creato.

Non era preoccupato per la sua azienda, la Ciemme, saldamente in mano alla moglie Romana ed ai figli, ma per i suoi “ultimi”.

Cornice al corteo, tanti vigili: una città ferma per l’ultima marcia dell’uomo più buono del mondo. Un corteo degno di un capo di stato, perché lui politica la faceva davvero, dal basso, per chi aveva bisogno. Chiunque fosse.

Un giro allo stadio, poi in azienda, poi al circolo.

Le tappe della sua vita, fino a Valera, per la cremazione.

E sarà anche vero che non muore chi vive nel cuore di chi resta, ma vivono tante persone inutili, e chissà quando Parma avrà un altro Corradone. Ne avrebbe tanto bisogno, da lunedì, da ieri, da sempre.

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