“Puttana te la faremo pagare”: minacce alla direttrice di Parmapress24. Ma il giornale non si ferma

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“Puttana te la faremo pagare”. E ancora “Puttana ti piace essere chiamata così, Puttana Puttana….”.

Questi fogli accartocciati sono stati recapitati nella cassetta postale della sottoscritta, direttrice di questo quotidiano. Ammesso che non è difficile sapere dove risiedo, e che comprendo come facendo un mestiere “pubblico” posso non essere simpatica a tutti, ritengo che queste sciocche minacce meritino una riflessione.

Una premessa: io non ho paura. Se avessi paura farei altro nella vita. “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola” diceva Paolo Borsellino. Un’altra premessa: io non mi sento in difetto verso nessuno.

Non ho alle spalle poteri o editori forti, ma ho le spalle larghe, forgiate dall’essere un editore e giornalista libero, che ha scelto questo mestiere per amore della verità e della cronaca.

Credo di perseguire sempre l’onestà intellettuale, che non mi rende simpatica a tutti, ma per cui nessuno mi può definire asservita o servile dei poteri di qualsivoglia forza o parte. Io faccio il mio mestiere. Io informo, perché solo se si conoscono le cose ci si può creare un pensiero. Ma raccontare i fatti non vuol dire schierarsi. Raccontare i fatti non vuol dire giudicare. Raccontare i fatti non vuol dire sostituirsi ad alcun giudice.

Di recente mi sono occupata di una vicenda giudiziaria che ha mosso moltissime critiche, parecchi commenti negativi. Ho pubblicato un articolo che ha trasformato i profili social personali e del giornale che dirigo con onore e rispetto per la professione, in un cimitero di insulti. La vicenda riguarda il caso Pesci e il presunto stupro di una 21enne con i risvolti giudiziari della denuncia presentata dalla presunta vittima.

La scelta di pubblicare alcune intercettazioni, alcuni messaggi tra la presunta vittima e il presunto stupratore (scrivo “presunto” non per sminuire la vicenda, ma perchè fino alla sentenza definitiva di un Tribunale tutti in Italia devono sono reputati innocenti), ha mosso l’indignazione ed esposti da parte dei Centri Anti Violenza e di alcuni i movimenti per la difesa delle donne dell’Emilia Romagna. Uno sdegno, però, che adesso causa solo altro sdegno.

La logica vorrebbe che questi stessi movimenti si indignassero in mia difesa. Sono una donna anch’io. Una professionista. La rabbia genera solo odio, questa è la riflessione cui mi riferivo alcuni capoversi sopra.

La verità, invece, rende liberi. Quindi continuerò a raccontarla, con buona pace di chi mi lascia messaggi anonimi nella bocchetta delle lettere.

E no, non mi piace essere chiamata “Puttana”.

(Francesca Devincenzi)

 

 

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