Parma è friendly, ma i negozianti non ci stanno: “Adesivo pro-gay una discriminazione”

Inchiesta tra le vetrine del centro: "Perché discriminare dicendo che accettiamo"?

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Parma è “friendly”? Anche si. Ma non intende apporre adesivi di simpatia per i gay ai suoi negozi, né frequentare corsi di formazione per trattare con gli omosessuali. 

Questo quanto emerge da una chiacchierata informale coi negozianti del centro storico. Onde evitare che qualcuno possa essere tacciato di discriminazione in un verso o nell’altro, lasciamo i commenti nel rigoroso anonimato. 

 Premessa – “ParmaèFriendly” è un’iniziativa promossa dal Laboratorio Omofobia del Comune di Parma (composto dal Comune stesso e dalle associazioni LGBT del territorio cittadino) e finanziata dal Comune di Parma, assessorato alle pari opportunità, guidato da Nicoletta Paci.

La vice sindaco, Nicoletta Paci, con delega alle pari opportunità, aveva apposto la prima vetrofania presso lo IAT – Servizio Informazioni ed Accoglienza Turistica – di piazza Garibaldi. Erano presenti Elisabetta Ferrari di Agedo, Luca Marola e Alessandro Bonardi di ParmaèFriendly.

Tra le azioni messe in atto, nell’ambito di questo progetto, l’applicazione di vetrofanie “Parmaèfrinedly” nei luoghi pubblici a partire dal Muncipio, la distribuzione del materiale informativo e la promozione di incontri e brevi percorsi di sensibilizzazione per Comuni, Associazioni ed Enti che saranno interessati.

Ma, a quasi due anni dalla nascita dell’iniziativa, di vetrofanie attaccate non se ne vedono. Cerchiamo di capire perchè.

Presa in giro – “È una presa in giro” – spiega una negoziante da Via Garibaldi.

“Io ho letto di questa cosa e non la voglio. Ho un sacco di amici gay e non ho intenzione di esporre una etichetta per dimostrare che loro possono entrare. È una stella di David al contrario. Una gran ca…. No, no, non lo voglio, non lo voglio. Non mi interessa” – commenta stizzita una barista.

Pochi metri più in là, stessa replica. “Ma che tristezza, sono ridicoli. Noi non lo mettiamo di sicuro, non la vogliamo neanche. I gay si offendono se mettiamo fuori una cosa del genere. Non si fanno le categorie alle persone. Altrimenti si fanno le categorie come agli ebrei”.

Altra via, stesso andiamo. “Ma questa poi… Ma le associazioni gay cosa dicono? Non si arrabbiano? Potrebbero vederla come un’umiliazione”.

Peggio ancora il corso di formazione. “Insegnarci come trattate i gay? Questi sono fuori di melone. Significa spacciarli spacciano già per gente diversa. Farli sentire diversi”.

Inevitabile ci finisca in mezzo la politica – “Se me lo vengono a proporre non li faccio neanche entrare. Ma non hanno niente altro da pensare in Comune? Io mi vergognerei come un ladro ad andare in giro a proporre un lavoro del genere”.

E ancora. “Questo qui è razzismo. Ma da chi viene questa idea? Possono entrare tutti. Non so come faremo nel 2020 che saremo capitale della cultura. Non puoi perdere tempo e denaro per queste cose qua.

E il Comune mi insegna come devo rapportarmi con un omosessuale??? Se portano l’adesivo c’è da dirgli “Attaccatevelo in fronte”.

Poco lontano. “Ma è una c….. Ma è razzista. È come scrivere qua i negri possono entrare. Ma è offensivo. Se fossi gay mi incazzerei”.

Infine…”L’adesivo se lo metta a casa sua Pizzarotti. Se lo metta sul suo cancello”.

Il confine tra tolleranza e politica, in fondo, è labile. Altra vetrina, altro no. “Mi sembra molto ghetto. Se incominciamo a mettere i cartelli sui negozi siamo messi molto male”.

“Ma per piacere, ma io non lo attacco neanche. Ma lasciamo stare. Veramente una cazzata del genere. Ma questo ghettizza proprio.  Ma poi mica sempre si vede se uno è gay. Quindi quando uno entra cosa gli chiedo “Ma tu sei gay? Si? Ok, allora ti tratto bene!”. Ma stiamo scherzando?” – sogghigna un negoziante. 

“Ma non avevano altro da pensare? Ma è offensivo. Ma che storia è? Veramente andare a spendere dei soldi in quel modo con tutti i lavori che ci sono da fare?

Ma questa è una barzelletta. Ma io non voglio neanche pensare che la facciano una cosa del genere. Il cartello che può entrare il gay? È allucinante. È da apartheid” – dice il vicino di porta. Se ci fossero stati degli episodi di intolleranza, allora uno dice…ma..”.

Qualcuno è più soft. “Al limite potrei anche metterlo. Ma se poi alcuni lo mettono e altri no dopo diventa ghettizzante…”.

Qualcuno, più strong.  Chi annovera gay tra la clientela,  non ne vede il senso. “Se è per quello noi abbiamo anche un dipendente gay. Non ci sono problemi. Ma l’adesivo proprio no… È chiaro che con l’adesivo li offendi.  Abbiamo come clienti anche dei transessuali e dei travestiti, quindi si figuri, perché mai dovremmo fare il corso?”.

Un’altro. “Io ne ho tanti di clienti gay, li adoro. Ma l’adesivo no, li offende”.

E ancora. “Un nostro dipendente è gay. Ma se raccogliete le firme contro gliele raccogliamo anche qua. Ma è una cosa assurda. A me non risulta che ci siano maltrattamenti di gay nei negozi”.

Di nuovo. “Penso che se un gay legge quel cartello lì gli dia fastidio. Perchè così li separiamo proprio dalla comunità”.

Qualcuno fa outing – “Io sono gay e non lo metterei fuori Anzi per me è discriminatorio. Ma chi l’ha tirata fuori questa cosa? E’ una ghettizzazione al contrario” – commenta un giovane commesso, cui fa eco un collega. 

“Io sono gay e sposato, ma per me non serve mettere fuori quell’adesivo lì. Friendly bisogna esserlo con tutti indipendentemente. Cioè…siamo a questi livelli? Mi viene la pelle d’oca. Noi l’adesivo non lo mettiamo”.

Dopo la politica, nel mirino anche le associazioni di categoria. “Ascom pensi ad altro, sarebbe meglio. Una cosa del genere? Adesso gli telefono alla Confesercenti e gliene dico di ogni”.

C’è chi la prende… sul ridere. “Ma è uno scherzo??? E allora cosa mettiamo fuori l’insegna che se entra anche un nero lo serviamo contenti? Ma noi ne abbiamo parecchi di amici così, se vedono un cartello del genere mi fanno un c.… “.

Oppure. “E’ una cosa che solo da sentire è terribile. I gay non sono mica cani“.

“Ma che stupidata è? Ma è proprio così che si creano le discriminazioni. Il cartello li offende. Noi siamo contro”.

Ed ecco una bella domanda. “Ma allora dopo i gay possono entrare solo nei negozi che hanno fuori il marchio? Ma chi l’ha inventata questa cosa qua? Ma i gay sono persone normali”. 

Sorridiamo. “Niente cartello. È come fuori i cani e dentro i rom”. Chi ha inventato questo corso è uno str…. . Se lo devono fare loro il corso. Loro ne hanno bisogno”.

“Devono aprire gli occhi su altre cose non su queste cazzate. Ma se è vero che il comune fa una iniziativa del genere è drammatico”.

“Sono altre le iniziative da fare, come abbassare le tasse ai negozianti, che c’è gente che sta chiudendo a raffica in centro. Possono andare a girare subito. Il corso? Ma credono che la gente sia omofoba? Ma è allucinante. Ma questa è una cosa triste. Ma cosa siamo al Medioevo?”.

Di nuovo. “Ma non esiste che nel 2019 ci sia una cosa così. È razzismo. Li stai discriminando. E queste sono le iniziative che fanno per Parma 2020? Ma è come per i neri negli anni 50 in America. Ma è una offesa per l’intelligenza umana. Non merita neanche di essere presa in considerazione. Ma è una cavolata. Comunque solo qua a Parma succedono delle cose del genere”. 

E un pò di economia –  “Aumentare le vendite con l’adesivo? Ma figurati. Rischi di perdere delle vendite da una parte e dall’altra.  Il 30% della mia clientela è gay. Il nostro capo area è gay ed è sposato” – strillano da un negozio.  “Ma figuriamoci se può essere una iniziativa che ci aumenta il fatturato”.

Solo in un bar, la titolare si astiene: “Ho tre camerieri gay, decidano loro”. Qualcosa ci dice che diranno “no grazie”.

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