La Spétnèda, i volti noti degli interpreti aiutano gli spettatori alla partecipazione emotiva (critica di Luca Tegoni)

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(Luca Tegoni, da www.stadiotardini.it) – Un breve prologo introduce Leonardo nella dimostrazione del proprio genio a servizio dell’umanità. Poi i protagonisti, nei titoli di testa, de La Spétnèda, si accomodano sulla tribuna del Teatro Farnese per assistere allo spettacolo. Così comincia l’ultima opera di Romeo Azzali e della Mezzani Film Production. Un ambizioso racconto dove ogni cosa è possibile, anche ritrovare un corpo per ricongiungerlo alla testa, una testa accarezzata da capelli capricciosi.

Tra Cinquecento e i giorni nostri, accennati appena dalla presenza del Covid, il racconto del film si sviluppa armonico mostrando particolare abilità nei movimenti di macchina e nell’uso del drone. Il canovaccio è essenziale e rispetta l’amatorialità degli attori che si gettano nell’impresa con passione e simpatia. In alcuni di essi si distinguono tempi recitativi, ammiccamenti e presenza scenica. I volti noti degli interpreti volontari aiutano gli spettatori alla partecipazione emotiva.

Tra la campagna della Bassa, bagnata dalla imponente lentezza del Grande Fiume, e i maestosi cortili e saloni del Palazzo della Pilotta prende corpo la Storia che mutua personaggi dall’antico al moderno usando i generi cinematografici con disinvoltura, dai duetti alla Troisi e Benigni nelle scene medievali, a Oggi le comiche dei due maldestri guardiani della Pilotta per procedere con le inquadrature maliziose tipo Neri Parenti e Fratelli Vanzina, sulla mano “malandrina” del Pinco che s’appoggia sulle forme della bella Alex che poi ritroveremo, alla maniera di Eva Kant, nell’esecuzione del furto.

Il filo del film è la discendenza dei Farnese, da Alessandro III e Lupetto per arrivare al Capo della banda, sedicente discendente di Lupetto, che vuole ricongiungere il corpo disegnato sul foglio strappato trovato a Saragozza, anzi Mezzano del Vescovo, strappo che salvò la giovane Fiorenza dalla furia del padre mentre si concede al pennello del Sommo Maestro.

Il furto è acquisito, tutta la città ne parla, come Chiesa e Piovani su di una panchina di piazzale Paer che potrebbe essere quella di Alex e Franz. Per risolvere il caso ci vuole del naso. L’ispettore Majo si cimenta nell’impresa apparentemente irrisolvibile e, grazie ad osservazione e intuizione, un po’ come faceva l’ispettore Colombo ma meno sbadato, si prende la scena risolvendo il caso che riconsegna prestigio alla città di Parma. Il finale è volutamente teatrale nella platea del Teatro Farnese con tutta la compagnia riunita mentre si celebra il ritrovamento insieme alle autorità.

Un film divertente, semplice ma con invenzioni cinematografiche, sceneggiatura originale e montaggio che meriterebbero più date nelle sale della provincia … anche oltre, di là dall’Enza, di là dal Po. Luca Tegoni da www.stadiotardini.it

P.S.

Ma le gemelline dell’Overlook Hotel che ci facevano nella Bassa?

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