Corte Costituzionale: “Pensione troppo invalidità troppo bassa, non assicura i mezzi per vivere”

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Vivere con soli 286 euro al mese è impossibile, soprattutto per una persona totalmente inabile al lavoro per effetto di gravi disabilità e riconosciuta invalidità al 100%. Una constatazione oggettiva e incontrovertibile che Anmic, la più grande associazione di tutela e rappresentanza delle persone con disabilità, ha in questi anni sempre evidenziato, chiedendo con forza l’aumento, perché non si può vivere con 9 euro al giorno.  Ieri la Corte costituzionale – esaminando la questione di legittimità costituzionale delle pensioni degli invalidi civili totali sollevata dalla Corte d’appello di Torino – ha giudicato tali pensioni troppo basse, perché inadeguate a garantire “i mezzi necessari per vivere”. La Consulta ha infatti evidenziato che un importo così basso vìola “il diritto al mantenimento” che la Costituzione (all’articolo 38) garantisce agli inabili al lavoro sprovvisti di mezzi necessari per vivere.

“E’ una sentenza che ridà dignità alle persone con disabilità e che arriva dopo 12 anni di continue battaglie da parte di Anmic – dichiara il presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Mutilati e invalidi Civili, Walter Antonini -. La nostra associazione nel 2008 raccolse ben 300 mila firme in tutta Italia per promuovere in Parlamento una legge di iniziativa popolare che innalzasse queste pensioni vergognose che, essendo di gran lunga inferiori ai minimi pensionistici, creano una discriminazione a tutti gli effetti che deve al più presto essere sanata, alla luce di questa sentenza della Corte costituzionale, che recepisce totalmente il contenuto della nostra battaglia”.

Dal punto di vista giuridico queste le conseguenze, come spiega una nota della Consulta: “E’ stato quindi affermato che il cosiddetto “incremento al milione” (nel 2001 pari a 516,46 euro, oggi 650 euro), da tempo riconosciuto, per vari trattamenti pensionistici, dall’articolo 38 della legge n. 448 del 2001, debba essere assicurato agli invalidi civili totali (100%, ndr), senza attendere il raggiungimento del sessantesimo anno di età, attualmente previsto dalla legge. Conseguentemente, questo incremento dovrà d’ora in poi essere erogato a tutti gli invalidi civili totali che abbiano compiuto i 18 anni e che non godano, in particolare, di redditi su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro (oggi 8.469,63, ndr)”.

Non c’è però da abbassare la guardia, per un mondo, come quello delle persone con disabilità, alle prese con innumerevoli problemi. Il monito arriva da Alberto Mutti, alla guida di Anmic Parma dal 1982 al 2018, in prima linea sul fronte di tante battaglie, oggi coordinatore del Centro studi nazionale Anmic: “Bene la sentenza, però attenzione: ci sono persone con disabilità importanti, con invalidità riconosciuta dal 75% in su, che non vengono considerate da questa sentenza – osserva -. Per loro la pensione, quando non riescono a trovare un lavoro, rimarrà quella solita, da fame. E il collocamento mirato obbligatorio delle persone con disabilità, stabilito dalla legge 68/1999, oggi vive un momento buio: sono quasi 5 mila i disoccupati disabili sul nostro territorio provinciale e la legge è sospesa, per decreto, da oltre 3 mesi e fino al 17 luglio. Fino ad allora aziende ed enti non avranno l’obbligo di assumere. Recepire tale sentenza è sacrosanto, ma non deve diventare un modo per lavarsi la coscienza da parte di uno Stato che deve prendersi carico urgentemente di una riforma complessiva di una normativa superata. Anmic esiste affinché si applichi la Costituzione, con i suoi diritti: è questo magnifico documento che dobbiamo ringraziare e applicare”.

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