Nel nome di Sergio, l’uomo delle due città che ha raccontato il Coronavirus alla Regione

Ritratto di Venturi, bolognese di nascita, parmigiano d'adozione, medico, ex assessore alla Sanità, commissario ad acta per l'emergenza, che si congeda

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di Francesca Devincenzi

Ha raccontato l’emergenza Coronavirus tra numeri e paure, accompagnando l’Emilia Romagna con dirette che qualcuno ha paragonato a quelle con cui Radio Londra raccontò la seconda guerra mondiale.

Sergio Venturi per due mesi e qualche giorno è stato commissario ad acta per l’emergenza. Ha invitato i cittadini della Regione a “essere come il colibrì, che portando piccole dosi di acqua spegne l’incendio”, ovvero a rimanere in casa per sedare il contagio.

Lasciando, si è congedato con due parole chiave: “Responsabilità, nel mettere nel mascherine e prestare attenzione alle misure di contenimento, Rispetto, per i sanitari in campo”. Poi ha ringraziato tutti, compresa la sua famiglia, moglie, figlio e figlia, cui ora tornerà, come Cincinnato, a dedicarsi, insieme ai suoi poderi.

Sessantasette anni, originario di Vergato nel bolognese, gastroenterolgo, esperto in amministrazione e gestione dei servizi sanitari, a lungo direttore generale dell’Azienda Ospedaliero-universitaria di Parma, nella nostra città ha scelto di vivere, ma negli ultimi cinque anni è stato presenza fissa negli uffici di via Aldo Moro a Bologna come assessore alle Politiche per la salute.

Ai primi di marzo il suo incarico era terminato, con la gestione dei primi giorni di quello che sembrava  un momento complicato. Aveva scelto di lasciare, di godersi la pensione, logorato dalle definizioni di dirigente potente ambiguo e controverso, stremato da una radiazione, poi dichiarata illegittima, negli anni 2018-2019.

La radiazione era arrivata perché Venturi aveva proposto e contribuito ad approvare una delibera della Giunta regionale sulla possibilità di impiegare infermieri nelle ambulanze anche in assenza dei medici. La Regione aveva fatto ricorso, accolto dopo un anno quando la Corte ha ritenuto che l’Ordine nel sanzionare Venturi di fatto ha sindacato le scelte politico amministrative della Giunta in materia di organizzazione dei servizi sanitari, su cui non ha competenza.

Ma, quando la “noiosa influenza” è diventata pandemia, e proprio il suo successore, Raffaele Donini, si è ammalato di Covid19, Sergio Venturi non è riuscito a dire di no alla nuova chiamata del presidente Stefano Bonaccini. E ha fatto retromarcia.

“E’ l’uomo giusto – aveva detto, era il 5 marzo, il presidente della Regione – l’unico che possa gestire la crisi sanitaria”. Così Venturi è diventato il punto di riferimento degli emiliano-romagnoli, il nuovo Ridge, nel suo Coronaful delle 17,30, una serie televisiva – via Facebook – dagli ascolti pazzeschi.

Numeri, ma non solo:  spiegazioni, approfondimenti, incoraggiamenti, condoglianze e risposte. Fino alla scelta di lasciare in anticipo, rispetto alla scadenza del mandato. 

Andandosene ha detto: “Ho avuto paura cedesse il sistema sanitario, ma di crollare pure io, mentre i contagi si impennavano. Lascio ora che la situazione si sta normalizzando, sperando arrivi presto il “numero zero” che avrei tanto voluto annunciare io”.

Una ammissione di debolezza, che umanizza un uomo passato agli annali come potente e impassibile. Si ritira nella “sua” Parma, città forse che meno di tutte nell’emergenza lo ha amato. Ma si sa, da queste parti, essere profeti in patria non è mai riuscito a nessuno.

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