INTERVISTA – I 70 anni di Nevio Scala: “A questa età è ancor più prezioso quello che il mio Parma ha scritto: una storia unica e irripetibile”

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(Luca Savarese per www.stadiotardini.it) – Ogni compleanno è un appuntamento importante, un modo per porsi a tu per tu con la propria storia e riguardarla, a distanza, senza i fronzoli dell’emotività, ma sorseggiando brividi veri. C’è poi il compleanno di Nevio Scala, da Lozzo Atestino, ma a tutti gli effetti nelle case del cuore e nei cuori delle case di infiniti parmigiani e di intere tribù di parmensi. Oggi fa cifra tonda, 70. Dalla sua campagna veneta, ci ha gentilmente concesso una chiacchierata. Sentite che cosa ci racconta. 70 anni portati da Dio e poi con quella saggezza che si riscontra nelle pagine di Seneca, o forse nemmeno lì…

Nevio, diceva lo scrittore Gabriel Garcia Marquez “Non è vero che le persone smettono di inseguire i sogni perché invecchiano, ma invecchiano perché smettono di inseguire i sogni”. Nevio, tu li hai sempre inseguiti e insegnati e infatti sei ancora molto giovane. Adesso che siamo arrivati a 70, toccandoli con mano, che effetto fanno?

Mi sento un ragazzino! La tua entrata in questa conversazione è bellissima. E’ vero, condivido il fatto che non ci si può fermare ed accontentare di dire “sono arrivato”, bisogna sempre avere un sogno davanti, un traguardo, un obiettivo capace di metterti in gioco e di non farti invecchiare lo spirito, un qualcosa che ti tiene vivo. E’ quello che dicevo ai miei ragazzi del Parma: Non è tanto importante raggiungere obiettivi, ma avere obiettivi da raggiungere”.

70 volte 7 dice il Vangelo, 70 volte 7 come le stagioni trascorse, un vero e proprio vangelo del calcio, sulla panchina del Parma. Quando ti sei seduto la prima volta era una squadra di provincia come tante, quando ti sei alzato, era una delle realtà più avvincenti e vincenti d’Italia e d’Europa…

In effetti siamo stati fortunati, abbiamo lavorato molto bene, si sono concretizzate alcune situazioni importanti e siamo riusciti a raggiungere obiettivi straordinari. Penso che sia una cosa irripetibile. Ci sono state tante altre realtà importanti, il Chievo, il Carpi, il Vicenza che ha vinto la Coppa Italia, che però si sono fermate lì, senza più riuscire ad esprimersi ad alti livelli. Noi abbiamo gettato basi solide in serie B sulle quali dopo si sono evolute un sacco di episodi, senza volere a tutti i costi raggiungere traguardi ossessivamente; questo atteggiamento, ci ha anche consentito di essere sereni e di avere un rapporto con i giocatori favoloso. Molti di loro mi hanno chiamato oggi per farmi gli auguri, questo significa che il calcio non è solo 5-3-2 o 3-5-2, ma è ben altro, deve essere in grado di vivere da cose completamente diverse dai numeri, decisamente troppo riduttivi per quello che il calcio è”.

Da piccolo la prima volta che hai incontrato un pallone?

Subito, appena nato, perché mia mamma mi ha regalato subito la maglia del Milan, perché davanti alla nostra casa di campagna c’era un cortile dove a tre anni ho cominciato a calciare un pallone. C’era un pallone ed uno schioppettino per andare a caccia, non avevamo altro allora, sono nato col pallone tra i piedi ed un fuciletto sulle spalle e sono stato un calciatore abbastanza precoce perché ho sempre dato calci al pallone e a furia di dare calci e grazie al mio carattere ed alla cultura contadina trasmessa dai miei genitori, son riuscito ad ottenere dei risultati di cui vado orgoglioso”.

Nei tuoi sogni gialloblù, va più in onda la serie A colta contro la Reggiana al Tardini, o la prima coppa Uefa contro la Juve a San Siro?

Non ci sono momenti, ci sono 7 anni, migliaia di giorni con centinaia di ore vissute sempre con lo stesso entusiasmo… C’è l’approdo in A certo, ma c’è anche quando magari siamo andati a perdere qualche gara o a vincere con la Juve. Adesso che li vedo a distanza, sono ancora più preziosi, perché prima, magari, quando li abbiamo vissuti non ci rendevamo conto della portata unica che avevano e che avrebbero avuti. Però, ripeto, quello che abbiamo fatto, è qualcosa di unico e per noi, era una cosa naturale. Questa è la bellezza di cui io vado fiero. Quando vengo a Parma le persone mi dicono: Mister che bello quando c’era lei qua e me lo dicono non perché abbiamo vinto quelle coppe, ma perché avevamo costruito tra noi e la città un un rapporto che va al di là del risultato e questo, per me, è qualcosa di irripetibile e di irraggiungibile”.

Dai sogni che hai fatto vivere mettendoli sul binario inconfutabile della realtà, agli incubi che sta vivendo il calcio italiano. La prima rivoluzione da fare, al di là del nuovo Cittì, forse è di carattere culturale?

Sicuramente: io credo sia necessario fare un passo indietro, non disconoscendo le nuove realtà, i nuovi strumenti che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione; fare un passo indietro come filosofia, mentalità, rapporti, sensibilità. A me piacerebbe vivere il calcio nuovo con un rapporto diverso tra l’allenatore e i giornalisti, tra l’allenatore e la società, tra l’allenatore ed i tifosi, mi piacerebbe rivivere un po’ quello che abbiamo vissuto noi a Parma. Tra di noi non c’erano segreti, non avevamo particolari alchimie, non abbiamo studiato di essere diventati grandi (quando dice grandi, subito dopo aggiunge, senza nessuna presunzione, nda). Il calcio di adesso, ha bisogno di rilassarsi un po’, di non essere così intasato da costanti polemiche e continui scandali, da frequenti intromissioni di gente che non ha niente a che fare col mondo del calcio. Questo mi piacerebbe riuscire a trasmettere adesso dalla mia campagna alle persone, mi auguro che con dei rapporti e con dei contatti con gente influente nel mondo del calcio si possa veramente capire che il calcio ha bisogno di fare un passo indietro”.

70 candeline sulla torta: se una di queste candeline fosse un consiglio da dare, quale sarebbe?

Non servono i consigli, perché lasciano il tempo che trovano, contano gli esempi, che incidono di più sul fondamento di una persona. Allora se una persona ha voglia di andare a vedere quello che abbiamo fatto noi, si renderà conto che non è una cosa impossibile, è una cosa difficilissima, ma fattibile se si accettano certe cose, se si rivivono certi valori, se si prova ad essere tolleranti. La semplicità e l’umiltà sono le basi per le grandi imprese, le deve ritrovare il calcio italiano, certo anche in connessione con preparazione e concretezza per il nuovo periodo del mondo e del mondo del calcio, però certi valori, non possono davvero più mancare per andare molto lontano”.

Complimenti Nevio e un mondo di auguri!

Grazie e buon lavoro”.

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