Pensioni. Maestri (PD): “Che fine ha fatto il part time agevolato?” Impagniatiello (FdI): “Un Flop Act”

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Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro

“Chiediamo al Ministro Poletti di relazionare sullo stato di attuazione del cosiddetto ‘part time agevolato’: il numero delle istanze presentate e accolte e l’ammontare delle risorse impiegate per la sua applicazione; vogliamo sapere se sono ancora disponibili delle risorse e se, nel caso, non si ritenga di valutare la proroga di questa opportunità fino al 31 dicembre 2019 estendendola anche ai lavoratori del settore privato in procinto di maturare il diritto al trattamento pensionistico anticipato, oggi esclusi”.

E’ questa la richiesta che la deputata Pd Patrizia Maestri, della Commissione Lavoro, ha formulato al Ministro del Lavoro Giuliano Poletti con un’interrogazione presentata nei giorni scorsi.

 “La legge di bilancio 2015 ha introdotto l’opportunità per i lavoratori dipendenti del settore privato con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato che maturino entro il 31 dicembre 2018 il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, la possibilità di ridurre l’orario di lavoro tra il 40 il 60 per cento ottenendo mensilmente dal datore di lavoro l’importo corrispondente alla contribuzione previdenziale relativa alla prestazione lavorativa non effettuata e vedendosi riconosciuta la contribuzione figurativa” – ha spiegato – “Fin dall’inizio la misura aveva raccolto scarso interesse tra i lavoratori anche per il fatto di non esser stata opportunamente concertata con le organizzazioni sindacali e datoriali”.

 “Per la sua attuazione, tuttavia, il Governo aveva stanziato oltre 200 milioni di euro che ora chiediamo vengano rendicontati e, se vi sono dei risparmi, che questi vengano reinvestiti con la medesima finalità. La proroga della sperimentazione del ‘part time’, magari con alcuni adeguamenti, può essere un’opportunità” – ha concluso – “ma quello che chiediamo e riteniamo imprescindibile è che queste risorse non vengano sottratte alla previdenza per altre finalità”.

Sulla questione interviene anche Matteo Impagnatiello, coordinatore comunale Fratelli d’Italia An Noceto: “Un Flop Act e il lavoro che non c’è”.

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro…”, così recita l’art. 4 della nostra Costituzione; l’art.3, invece, “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge…”; chiudo, rinviando all’art. 35 della nostra Carta fondamentale, dove, tra l’altro, è scritto “(la Repubblica)Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”. Perché scomodare la nostra Costituzione? E’ presto detto: ricordate il Jobs act, quella brutta riforma del lavoro, che ha fortemente caratterizzato il governo pd di Renzi ed ancora l’attuale ministro Poletti che allora la volle?

Proprio quella riforma, che non ha abbassato la dilagante disoccupazione nel nostro Paese, ma, pare, possa avere profili di incostituzionalità: la sensibilità di un giudice del lavoro, Maria Giulia Cosentino ha rimesso alla nostra Corte costituzionale gli atti relativi ad una causa inerente un contratto (una donna dapprima assunta e poi “scaricata” dall’azienda con futili motivazioni, a cui è seguito un risarcimento molto basso).

Le tutele sono state notevolmente indebolite, creando disparità fra chi, svolgendo identiche mansione, è stato assunto prima o dopo il Jobs act.

Non è da trascurare, nell’elenco degli articoli costituzionali citati,neppure l’art. 117, laddove vengono citati “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

Ebbene, avendo come riferimento, ad esempio, protocolli internazionali che l’Italia ha firmato, come la Carta sociale europea e quella di Nizza, queste stesse raccomandano tutele ai lavoratori ed indennizzi adeguati per chi, ahinoi, subisce il licenziamento, nonostante vi siano motivi irrilevanti e/o futili.

Le piccole variazioni dei tassi di disoccupazione generale e giovanile, tanto sbandierate, qualche settimana addietro, come successi della riforma, altro non sono che “l’avvio della stagione turistica, e non l’inizio ed il consolidamento di una ripresa strutturale dell’occupazione” così si esprime la sigla sindacale Ugl.

Numeri alla mano, non trascuriamo il dato allarmante della disoccupazione giovanile che, nel 2007 era intorno al 6,6% ed oggi si aggira intorno al 34%;Il Sole 24 Ore riporta che i cosiddetti Neet, ossia i giovani che non studiano né lavorano, sono in crescita, ed è la categoria più a rischio.

Fratelli d’Italia- An crede fermamente che la crescita economica è la necessaria condizione per tagliare il tasso di disoccupazione, perciò propone una riduzione del cuneo fiscale nei primi anni di assunzione di un nuovo lavoratore; sollecita l’incentivazione a forme di partecipazione agli utili da parte dei lavoratori; favorisce l’introduzione dell’orientamento al lavoro e dell’educazione all’imprenditorialità nelle materie scolastiche di ogni istituto secondario; chiede un reale miglioramento degli strumenti di collegamento tra scuola, università e mondo del lavoro.

L’Italia e con essa, il mondo del lavoro, non ha bisogno del Flop act, ma efficaci politiche di sviluppo, volte a migliorare lo stato sociale”.

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