La Cassazione: “Riina merita di morire con dignità, liberatelo”

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Lui non ha avuto alcuna pietà per le sue vittime, i magistrati Falcone e Borsellino, ma anche tanti appartanenti a clan avversi, o donne con la sola colpa di essere ad essi vicine.

Ma, nonostante lui abbia calpestato ogni dignità e ogni diritto alla vita, la Cassazione ora per il super boss Totò Riina, recluso in 41bis in Via Burla, chiede “il diritto ad una morte dignitosa.

Il «diritto a morire dignitosamente» va assicurato ad ogni detenuto. Tanto più che fermo restando lo «spessore criminale» va verificato se Totò Riina possa ancora considerarsi pericoloso vista l’età avanzata e le gravi condizioni di salute. La Cassazione apre così al differimento della pena per il capo di Cosa Nostra, ormai 86enne e con diverse gravi patologie. Sulla base di queste indicazioni, il tribunale di sorveglianza di Bologna dovrà decidere sulla richiesta del difensore del boss, finora sempre respinta.

La prima sezione penale della Cassazione per la prima volta ha accolto il ricorso del difensore di Totò Riina, che chiede il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare. La richiesta (si legge nella sentenza 27.766, relativa all’udienza del 22 marzo scorso) era stata respinta lo scorso anno dal tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso «di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico».

Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Ma la Cassazione sottolinea, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare «se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità» da andare oltre la «legittima esecuzione di una pena».

Il collegio ritiene che non emerga dalla decisione del giudice in che modo si è giunti a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena «il mantenimento il carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa», che non riesce a stare seduto ed è esposto «in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili».

La Cassazione ritiene di dover dissentire con l’ordinanza del tribunale, «dovendosi al contrario affermare l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente» che deve essere assicurato al detenuto. Inoltre, ferma restano «l’altissima pericolosità» e l’indiscusso spessore criminale» il tribunale non ha chiarito «come tale pericolosità «possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico».

1 commento

  1. Patrizia Maestri PD
    “Tutti i detenuti sono uguali per dignità umana; a tutti va assicurata pieno rispetto nello scontare la pena anche nella malattia, ma in modo analogo va garantita la dignità delle vittime dei reati efferati di cui ciascun criminale si è reso colpevole. Pur con il dovuto rispetto dovuto alla sentenza della Cassazione, ritengo che il possibile trasferimento di Totò Riina ai domiciliari sia incompatibile con questi due principi”.

    “Se anche le condizioni di salute del detenuto fanno venir meno la sua diretta pericolosità, il trasferimento di Riina ai domiciliari imporrebbe la predisposizione di importanti misure di sicurezza e renderebbe la sua abitazione un vero e proprio ‘santuario’ per gli accoliti della mafia infliggendo un colpo durissimo alla lotta etica e culturale, ancor prima che giudiziaria, alla criminalità organizzata”.

    “La dignità della morte così come quella della vita in carcere dev’essere costantemente assicurata a tutti i detenuti, senza eccezione e compatibilmente con le misure di sicurezza previste dai protocolli degli istituti penitenziari. Non vi è ragione alcuna per fare di un mafioso un caso d’eccezione”.

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