Boss freddato a Palermo, la condanna “decisa” in carcere a Parma

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Agguato mortale nel quartiere della Zisa, a Palermo. Giuseppe Dainotti, 67 anni, capomafia scarcerato nel 2014, è stato freddato con alcuni colpi di pistola alla testa mentre si trovava in bicicletta. I killer, arrivati in moto, sarebbero stati due. La mafia è tornata ad uccidere alla vigilia delle commemorazioni in città per i 25 anni dalla strage di Capaci.

L’agguato è avvenuto a 30 metri da uno dei due ingressi dell’istituto Sant’Anna che ospita la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. L’istituto è gestito dalle suore. A 50 metri dal punto dell’agguato sorge invece il comitato elettorale di Paolo Porzio candidato al consiglio comunale nella lista “Palermo 2022”.

Quello di Giuseppe Dainotti è un nome importante negli organigrammi mafiosi. Boss del mandamento di Porta Nuova, fu condannato per omicidio e per la rapina miliardaria al Monte dei Pegni nel 1991. Venne scarcerato, nonostante la condanna all’ergastolo, grazie a una sentenza della Corte Costituzionale che bocciò il cosiddetto “ergastolo retroattivo”, giudicando illegittima una norma che, in determinati casi, consentiva retroattivamente l’applicazione del carcere a vita anziché quella della pena più favorevole dei 30 anni. La Cassazione, in forza del verdetto, dovette commutare in 30 anni diverse condanne all’ergastolo, tra cui quella di Dainotti. Che nel 2014 fu liberato per espiazione della pena.

A pochi mesi dalla sua scarcerazione, Dainotti era già nel mirino dei suoi nemici interni a Cosa nostra. Il fermo di chi lo aveva condannato a morte scongiurò il suo omicidio. Imputato al maxiprocesso, una sfilza lunghissima di condanne per mafia, omicidio, favoreggiamento, rapina, droga, Dainotti era uno dei fedelissimi del capomafia Salvatore Cancemi, poi passato tra i ranghi dei collaboratori di giustizia. Le modalità dell’agguato rendono praticamente certa la matrice mafiosa del delitto. Il primo omicidio di Cosa nostra dopo tre anni di pace tra le cosche. L’ultimo padrino a essere ucciso è stato proprio Giuseppe Di Giacomo, che secondo i piani del fratello, avrebbe dovuto assassinare Dainotti.

Il procuratore Lo Voi: “La mafia uccide in modo simbolico” – “Quando è necessario, la mafia torna a sparare in modo evidente e simbolico. Uccidere Giuseppe Dainotti in pieno giorno, nel centro di Palermo, il 22 maggio, può avere diversi significati”. Ne è convinto il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi.

La condanna a morte dal carcere di Parma –  Giuseppe Dainotti veniva soprannominato Gano di Magonza , personaggio della ” Chanson de Roland ” considerato un traditore. Un particolare svelato nell’ordinanza dell’operazione Iago con la quale venne disarticolato il mandamento Zisa a Palermo, ed evitato l’omicidio di Giuseppe Dainotti.

Gano era uno dei paladini di Carlo Magno ed essendo patrigno di Orlando era anche suo cognato, avendo sposato la madre di Orlando, Berta, sorella di Carlo Magno, dopo la morte del marito, Milone, per mano dei Saraceni. Gano avrebbe tradito la propria patria svelando ai Saraceni il modo per cogliere di sorpresa a Roncisvalle la retroguardia franca di ritorno dalla Spagna. Il personaggio fu collocato da Dante Alighieri nell’ultimo cerchio dell’Inferno tra i traditori della patria. Gano di Magonza è anche una delle principali figure dell’opera dei pupi siciliana.

Il nomignolo di traditore a Dainotti era emerso in un’intercettazione ambientale registrata nel carcere di Parma del 2013 tra il boss mafioso Giovanni Di Giacomo, detenuto, e il fratello Giuseppe ucciso allo Zisa nel 2014, che avrebbe dovuto eliminare il Dainotti. Di Giacomo parlando con il fratello, si legge nel provvedimento dell’operazione Iago, dice che “Peppino” (Dainotti), in passato era stato incaricato da Cancemi di tendergli una trappola per ucciderlo. Giuseppe Dainotti aveva incaricato Giovanni di portare una persona ad un determinato appuntamento, ma Di Giacomo aveva fiutato qualcosa ed era riuscito ad evitare l’agguato.

Il boss in carcere criticava anche lo stile di vita di Dainotti. “Giovanni Di Giacomo nel corso delle conversazioni – si legge nel fermo della Dda del 2014 – con il fratello stigmatizzava il comportamento di Dainotti reo di avere sposato una donna …. che stava sperperando tutti gli averi di Dainotti”.

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