Pietro, partiamo da Gedeone: fu Ariedo Braida ad affibbiarti questo “stranòm” a Varese?
“No, Ariedo non c’entra. Me lo mise un allenatore di Viareggio che allenava il Como e che si chiamava Vinicio Viani, che era stato centravanti della Fiorentina e della Lucchese. Io ero un ragazzo della Primavera del Como: lui mi chiamò così in modo simpatico per la prima volta, poi tra l’altro è anche un nome biblico di un giudice difensore della città, non so se ci fosse attinenza col fatto che io ero preposto a difendere la porta, ma di fatto, quel soprannome, da allora si è connaturato a me…”.
Oggi la Primavera del Milan allenata da Lupi e quella del Parma guidata da Iori si sfidano al Viareggio negli Ottavi di Finale. Il tuo primo ricordo del Parma?
“Il mio primo ricordo del Parma risale a quando venni lì un giorno con Riccardo Sogliano a vedere un allenamento del giovedì di Danova ed incontrai il presidente Ceresini col quale simpatizzai subito e così nacque un’amicizia reciproca che andava al di là del calcio, con lui e con tutta la famiglia, anche con Fulvio e gli altri, ma in particolare col papà, Ernesto, c’era davvero un rapporto affettuoso, quasi di parentela”.
Oggi il calcio è cambiato, come del resto il mondo. Eppure esistono ancora le formazioni Primavera ed il Torneo di Viareggio…
“La Primavera è molto più variegata rispetto ad un tempo in cui era esclusivamente tutta italiana: il calcio ora si è aperto a più frontiere e tende, giustamente, a non avere più confini. Questo è un bene per la globalizzazione dello sport stesso, ma per il rovescio della medaglia, alcuni ragazzi italiani trovano meno spazio. Il Viareggio è ancora una vetrina molto importante, un’occasione da sfruttare, per i giovani, con intelligenza”.
A Parma ancora oggi si custodiscono, come si fanno con le opere preziose di un museo, la salvezza più Coppa Italia del 2002 e quella all’ultimo respiro nello spareggio del 2005. Entrambe firmate Carmignani. Se i ricordi sostano un attimo in quella zona temporale, cosa vedono?
“Si la salvezza del 2002 la conquistammo alla grandissima e la condimmo con la ciliegina della Coppa Italia, (ultimo trofeo in A vinto dal Parma, nda). Quella del 2005 fu molto più sospirata, arrivò all’ultima curva, perdemmo in casa con cinque giocatori squalificati la gara d’andata dello spareggio, poi ribaltammo la situazione al Dall’Ara. Ci tengo tanto a quelle salvezze, ma anche al cammino, strepitoso, che facemmo in Uefa, arrivando addirittura in Semifinale. Sono orgoglioso di quelle due salvezze, ma sono fiero di quella cavalcata, che vivemmo giocando con i giovani e vincendo un po’ dappertutto. Cominciando contro il Besiktas, 3 a 2 al Tardini, alla mia prima in quella Uefa, in Dicembre. Vincendo a Stoccarda, facendo fuori il Siviglia, pareggiando a Vienna per 1 a 1 contro l’Austria Vienna e la semifinale di ritorno con i russi che perdemmo, in casa loro, per tre a zero, fu danneggiata dallo scoppio di una bomba carta che ci tolse Bucci e ci tolse di fatto un cambio. Facevo giocare due o tre giocatori che giocavano poi anche la domenica, il resto era, proprio perché ho sempre cercato di valorizzare i giovani, una loro conquista”. (Magra consolazione, quel CSKA vinse poi la coppa, nda).
Dietro al Milan degli Immortali e degli Invincibili c’era anche la tua mano o meglio le tue mani che preparavano i portieri?
“Io al Milan arrivai due anni dopo l’avvento di Arrigo: quando arrivò Scala a Parma che portava gente sua, io, d’accordo con Ceresini, andai al Milan come preparatore dei portieri, dove rimasi due anni con Sacchi e un altro anno e mezzo con Capello. Ritornavo così assieme a Pincolini e Sacchi e poi vedevo di persona giocatori che si chiamavano Gullit, Rijkaardk, Van Basten e quotidianamente assistevo a tutta la magnificenza tecnica del Milan di Berlusconi che si traduceva, sul campo, in grandi prestazioni”.
Infine la parata che sogni ancora di notte?
“Ti racconto un aneddoto che nasce dalla realtà: giocavamo un Milan-Varese e ad un certo punto fecero un tiro e l’arbitro si voltò come per indicare gol. Ma io feci una parata straordinaria all’indietro, andando a deviare una palla e tutti rimasero stupiti e meravigliati. Era la stagione 1967-68, il mio primo anno a Varese. Oppure ricordo una parata nel mio primo anno di Napoli, campionato 1972-73, pareggiammo zero a zero col Milan il 23 dicembre, anche grazie a delle mie parate ed il Mattino di Napoli intitolò, l’indomani, la pagina così: “Gede uomo strenna!”. Feci in particolare un intervento su un colpo di testa di Pierino Prati, gli tolsi una palla che era indirizzata all’angolino…”.