Mascherine non a norma vendute agli Ospedali: sequestri per 11 milioni

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Mascherine Ffp2 importate dalla Cina nel pieno della pandemia – nel 2020 – evadendo Iva e dazi, commercializzate con sovrapprezzo anche alle strutture sanitarie, e peraltro neanche a norma visto che permettevano una percentuale di filtraggio di agenti patogeni di oltre dieci volte quanto previsto dalle norme di riferimento.

E’ il giro illecito scoperto in Emilia-Romagna dalla Guardia di Finanza di Ravenna che aveva già eseguito alcuni provvedimenti nei mesi scorsi e che oggi procede al sequestro di beni per oltre 11 milioni – come profitto dei reati di contrabbando e truffa aggravata ai danni delle strutture sanitarie dell’Emilia-Romagna – e di tre milioni e mezzo di mascherine. Due persone risultano indagate, amministratori delle società coinvolte.

Il sequestro, eseguito dai militari ravennati coordinati dalla Procura europea (Eppo) su esecuzione di misura emessa dal Gip del Tribunale di Bologna, è relativo a una serie di operazioni di importazione risalenti al periodo da aprile ad agosto 2020. Le indagini erano partite a novembre 2020, a partire da un controllo a una società con sede a Faenza.

Degli 11 milioni di beni sequestrati, 4,2 milioni sono considerati profitti del reato di contrabbando costituito dai dazi doganali e dall’Iva all’importazione evasi e 7,1 milioni circa come provento della truffa aggravata pari al prezzo riscosso per le mascherine non filtranti e con certificazioni Ce false commercializzate a più riprese.

La società con sede a Faenza da cui erano partite le indagini a novembre scorso, secondo quanto risulta ai finanzieri ravennati, dall’inizio dell’emergenza sanitaria aveva effettuato importazioni dalla Cina di dispositivi di protezione individuale (mascherine chirurgiche, Ffp2, tute e occhiali protettivi, visiere e calzari) per decine di milioni di euro sfruttando la speciale procedura di ‘svincolo direttò, che prevedeva l’esenzione dall’applicazione di dazi ed Iva all’importazione su queste tipologia di prodotti ma solo nel caso in cui fossero immediatamente consegnati, senza alcun ricarico commerciale, alle strutture sanitarie pubbliche impegnate nella lotta alla pandemia.

Nulla di tutto ciò accadeva. Era risultato infatti che la società, oltre a produrre documenti non veritieri, invece di consegnare subito la merce la commercializzava sistematicamente e a prezzi maggiorati a un’altra azienda, controllante della prima e riconducibile allo stesso legale rappresentante poi indagato per contrabbando aggravato. Già in questa prima fase erano stati sequestrati due milioni e mezzo di dispositivi di protezione personale (soprattutto mascherine) per un valore di mercato di circa 5,2 milioni.

Successivamente è stato accertato che almeno 1,4 milioni di mascherine Ffp2 prive di idonea certificazione erano state vendute per diversi milioni all’Aou di Parma, che svolgeva il ruolo di centrale di acquisto per l’intera struttura sanitaria dell’Emilia-Romagna. A quel punto nei confronti dell’amministratore delle società coinvolte e di un consigliere del CdA sono stati ipotizzati anche i reati di truffa aggravata ai danni di ente pubblico e di falsità ideologica e materiale commessa dal privato in atto pubblico.

Perizie tecniche hanno infine evidenziato che le Ffp2 in questione non rispettavano minimamente neanche i parametri di penetrazione del materiale filtrante previsti dalla norma di riferimento: arrivavano a una percentuale di possibile penetrazione di agenti patogeni del 73%, di gran lunga superiore a quella di riferimento che prevede un limite massimo del 6%.

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