Pasimafi e affini, Volume V – La Professoressa Modena, Camici Sporchi, la carriera demolita e il coraggio di una Donna di andare oltre

Parla la Professoressa Maria Grazia Modena: "La mia vita, distrutta da un'inchiesta speriamentale, la mia innocenza"

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“Il bello delle donne è che hanno paura, ma alla fine hanno il coraggio di fare tutto”. 

Se abbiamo già aperto ampi sipari e strascichi su quanto la magistratura approssimativa, le indagini senza presunzione di innocenza, la smania di buttare il mostro in prima pagina per un briciolo di popolarità possano fare male, stracciare carriere e vite, oggi vogliamo approfondire un caso giudiziario fortemente legato a Parma.

Innanzitutto, riguarda Modena. Una città molto simile a Parma. Piccola, ricca, provinciale. Vittima dell’autoreferenzialità e del bolognacentrismo, eternamente perdente agli occhi regionali ma sostanzialmente più capace di creare eccellenze.

Innanzitutto, ripetizione voluta, vittima e carnefice di un’inchiesta orchestrata dai NAS di Parma e dalla Procura di Modena, rappresentate dal dott. Vito Zincani, Procuratore Capo, poi sostituito dalla Dott.ssa Lucia Musti, dal dott. Marco Niccolini, Pubblico Ministero dell’inchiesta ma soprattutto dal Comandante dei NAS Angelo Balletta ed dal Maresciallo Giandomenico Nupieri, quest’ultimo vero “costruttore” delle ipotesi accusatorie che hanno raggrinzito, rattrappito, annientato, anni di studi, impegno, volontà di eccellenza in nome di un angolo di popolarità sul patinato di turno.

Proprio il Dottor Zincani definì pubblicamente “eroi” i cardiologi Fabio Alfredo Sgura e Rosario Rossi, testimoni ufficiali del processo, interlocutori dei Nas e chiari autori degli esposti anonimi contro la Professoressa Modena.

Proprio loro, gli “eroi” di Zincani, invitarono Report nella persona di Sigfredo Ranucci per riaccendere le luci sul caso della Professoressa Modena e della cardiologia dopo la condanna della “Prof.” in abbreviato nel 2015. Male su male, ombre su ombre. Ma perché poi?

Foto “Gente”

L’accusa nei confronti della Professoressa Modena, del Prof. Sangiorgi, suo aiuto e responsabile della  unità operativa semplice di Emodinamica, e di alcuni membri del suo reparto, consisteva nell’aver promosso e organizzato un’associazione per delinquere nell’ambito delle sperimentazioni cliniche al fine di: condurre le sperimentazioni stesse, arruolare pazienti ignari, creare falsa documentazione amministrativa, utilizzare abusivamente personale e attrezzature sanitarie, ottenere finanziamenti dalle aziende produttrici di dispositivi medici per la loro esecuzione, costituire società non a scopo di lucro che avessero la funzione di pianificatori e controllori delle sperimentazioni ma in conflitto d’interesse con i sperimentatori e infine inserire nell’organico operante presso l’Unità Operativa di Cardiologia di personale sanitario e amministrativo senza un concorso ad evidenza pubblica.

Tutto questo per un solo movente ovvero trarre un beneficio in termini di carriera essendo tutti gli sperimentatori ma in particolare la Prof.ssa Modena e il Prof. Sangiorgi, indicati quali autori di numerose pubblicazioni scientifiche derivanti dalla sperimentazioni oggetto dell’associazione.

Ma qui vogliamo, principalmente, raccontare della Professoressa Maria Grazia Modena, “Titti” per gli intimissimi, “Prof” per chi come scrive ha il privilegio di condividere con lei un pezzo magari anche corto di vita e pensiero, superarcimaxi cardiologia per chi ne ha in mente curriculum e gesta. La Prof è una donna bionda e bellissima. 

Ha il fascino del carisma, della classe, dell’eleganza, quello che non scade mai, che non ha un codice a barre tatuato con una data di fine, simile a quella dello yogurt. E’ smart come un autoscontro, ma complessa come il cubo di Rubik. Un concentrato di forza e genialità. 

Poteva essere tutto. Ha avuto una formazione americana che fa rabbrividire i soloni banali della mediocrità ospedaliera provinciale. In comune con Guido Fanelli, di cui ampiamente abbiamo discorso, e ancora parleremo, aveva quella voglia di eccellenza e geniale modernità che fanno a pugni col provincialismo di chi deve attenersi a un protocollo che non urti la rassegnazione cittadina. 

Una sorta di Preston Tucker della cardiologia. 

Ha avuto mille vite, Maria Grazia Modena, tra San Felice in Panaro, la Mayo Clinic di Houston, Venezia, Modena. Ha mille prospettive, Maria Grazia Modena, perché ad oggi dice “ho tre amori, la cardiologia, la ricerca, l’insegnamento. Non mi interessa più creare un maxi team, ma rivoglio ricreare un futuro con il meglio che ha scelto di rimanere con me”. Ha altri due amori:  suo marito, un collega, forte ma ansioso, protettivo ma messo a dura prova, capace di rimanere nella tempesta rendendo cemento gli umani e quotidiani crolli, il suo cane, meraviglioso, Manhattan junior, erede del senior, che ha respirato amori e dolori della mamma bipede aiutandola a non cedere mai.

Il posto che le spetta è quello che è stato strappato via una mattina del 2012. Una mattina come tante. Un giorno che ha cambiato la vita, le prospettive, la speranza. Un giorno in cui il futuro brillante è diventato nero. 

Come si sopravvive? Lei è sopravvissuta scrivendo. Due libri, che ripercorrono la vicenda giudiziaria: “Il caso Cardiologia, la mia vita. la mia verità” e “Il Caso Cardiologia…La Verità”, un fluido liquido di passione e sopravvivenza. Un modo di vomitare dolore rabbia consapevolezza di innocenza e speranza nel futuro. Un terzo, più intimo, profondo, denso di un’energia vitale che solo una donna di scienza può avere. Speranza, rabbia, orgoglio. Alla società liquida di Bauman la Prof. sopravvive con la forza di una donna di provincia, la consapevolezza di una scienziata, la penna fine e divina che solo una donna forte e fragile può avere. 

“Il coraggio è fatto di paura” – diceva un’altra grande donna, Oriana Fallaci. E lei ha quello di guardare sempre oltre.

Dal camice spunta un corpo esile ma energico, una cinta firmata che racconta il gusto sobrio, una camicia azzurro cielo che sposa i capelli biondi. Un tacco equilibrato, come la forza di vivere. 

Cosa ricorda di quel giorno, la mattina degli arresti?

Fuma nervosamente la sigaretta elettronica. Gesticola. “Scusa, sai. Fa ancora male. Era un mese che i giornali di Modena ogni giorno riportavano le parole di Vito Zincani, procuratore capo…che annunciava l’arrivo di avvisi di garanzia. Quindi.. me lo aspettavo. Ero incredula, ma temevo arrivasse la mazzata. 

Già distrutta… perché nel settembre 2011 ero già stata rimossa dal mio incarico per “incompetenza gestionale”. “E’ un groviglio, sai…. dopo un “incidente” in sala operatoria di un mio collaboratore, Sangiorgi, avevano iniziato a dire a tutte le autorità che nella sala operatoria della Professoressa Modena si facevano interventi strani.” 

In realtà si trattò una normale angioplastica ad un paziente che peggiorava il suo stato all’elettrocardiogramma e che incorse in una non rara complicanza ma che fu gestita e risolta. Ma il paziente, sfortunato, era influente ovvero il presidente della Associazione Amici del Cuore con migliaia di associati, in grado di muovere potenti leve politiche e mediatiche.

Balle, tutte balle. Io ero all’apice della carriera, ero direttore dell’unità operativa di cardiologia, del dipartimento di chirurgia d’emergenza urgenza, ero una potenza.

Dopo tutto questo caos Sangiorgi fu allontanato, nessuno capiva più cosa stesse succedendo, avevamo tutta la politica contro, e si è messo in discussione il mio ruolo di direttore, con il riunirsi di una commissione, cosa mai successa prima…mentre i giornali mi sparavano contro. Avevo contro tutti, la Regione, l’associazione Amici del cuore. E’ maggio. 

Il 31 agosto 2011 vengo a sapere da una segretaria che il direttore generale sta esaminando anche alcune sperimentazioni fatte da Sangiorgi che nel mentre era già stato allontanato…quando torno dalle vacanze al Lido di Venezia, l’11 settembre 2011, mi chiama il direttore generale, disperato, con la testa fra le mani, e mi dice «sono costretto a sospenderti, a non confermarti direttore della cardiologia».

Era l’11 settembre 2011. Uno dei giorni più brutti della mia vita”. Le torri gemelle, dieci anni dopo, il crollo della carriera di Maria Grazia Modena. 

Scusi, costretto? 

“Si, costretto. Me lo ha detto mani al volto…ma non mi ha mai detto costretto da chi”. 

Credo la Regione, Errani, che sia stata l’Associazione gli Amici del Cuore, la ‘ndrangheta, avevo pestato i piedi a un pezzo grosso calabrese a Roma, massone… Sono convinta che quanto mi sia stato fatto per punire me, stavamo diventando troppo forti, come ospedale, avremmo pestato i piedi a Bologna…. E vengo sollevata per incapacità gestionale. Reggevo Cardiologia e dipartimento con un accreditamento in regione con il massimo del punteggio…ero senza parole. Ero una donna, c’era competizione tra l’ospedale, questo…e l’ospedale di Baggiovara che i politici preferivano. Lottavo contro la cardiologia nel privato. Tutti avevano un motivo per odiarmi”. 

Passai il 2012 nel mio studio, con la mia scuola di Cardiologia, vedevo i “miei” che cercavano di andare avanti, scrivevano lettere per il mio reintegro, ma a vuoto… intanto arrivavano in Procura esposti anonimi che parlavano del mio lavoro, delle presunte sperimentazioni…io vivevo da isolata con ogni giorni una nuova denuncia, una nuova accusa. 

Mi sentivo isolata, sola, scherzavo, ma dentro morivo. Ero indagata, ma le indagini erano secretate, non risultavano da nessuna parte facendo richiesta del certificato ex 335 del c.p.p. ovvero se ero stata iscritta nel registro degli indagati. 

Mi appuntavo ogni pensiero e idea al computer, scrivevo con rabbia…e i NAS quelle pagine le hanno pescate e trasformate in dossier contro di me”, acquisendole illegittimamente, come confermato successivamente dai giudici, grazie alla inoculazione del famigerato Torjan nel mio computer.

Ma torniamo all’arresto. 

So che c’era la nebbia, c’era freddo. Il venerdì dovevo tenere una delle lezioni alla scuola di specializzazione, quindi mi sono lavata i capelli. Ho messo i bigodini e il ciappo in testa”.

Mima l’acconciatura. E’ bella. Il sole alle sue spalle illumina i suo futuro. 

“Suonano, alle cinque del mattino. Tolgo l’allarme, metto l’accappatoio, vedo delle divise. Pensavo di aver messo la mia Polo blu in divieto di sosta, non la mettevo mai in garage. Ho proprio chiesto se dovevo spostare l’auto, mi hanno detto “apra”. Pensavo di aver parcheggiato dove passa il filobus. Salgono due NAS, Nupieri e Nobili, un Carabiniere e una Carabiniera. Il bassotto abbaiava disperato, mordeva i Carabinieri. Loro mi dicono «lei è in arresto».  Io non capivo, mio marito invece si. Dico «ma come in arrestano».  Mi rispondono: «Si si ma per lei non c’è il carcere, per gli altri si. Io non capivo nulla». Avevo i miei bigodini, il mio ciappo, e loro che perquisivano casa mentre io aspettavo. Non so cosa cercassero, hanno messo tutto per aria”.

Frammenti di cuore, gocce di memoria. Due parole con il marito. La forza che non sai di avere ma fluisce. 

“Mi sono vestita…per bene. Non capivo nulla. Con una freddezza che non mi appartiene nemmeno, una lucidità che non so dove ho trovato, li ho accompagnati in cantina, non capivo cosa cercassero. Facevo anche la spiritosa, chiedevo se volessero del vino.

Poi mi hanno portato via”. Niente manette, ma sul camioncino da carcerato. La “sfilata” per l’Ospedale. Poi in Caserma per le foto e le impronte. 

“Il mio primo pensiero era per il meeting, per i miei ragazzi che non mi avrebbero visto arrivare.… “.

Le immagini sono sovrapposte, e le lasciamo scorrere come vanno. “In Caserma…davanti, dei gran flash. Balletta, il NAS. Vito Zincani, i giornalisti. Mio marito, l’avvocato. L’attesa, in una stanza. L’interrogatorio. «Per lei hanno chiesto il carcere ma il Giudice ha scelto i domiciliari». Il ritorno a casa, mio marito sconvolto ma attivo. 

L’invito del legale a non leggere i giornali. Mi dissero che non potevo più vedere nessuno, ne sentire nessuno, nemmeno uscire sul pianerottolo. Persino la donna di servizio la nascondevo nell’armadio, potevo parlare solo con mio marito e il mio avvocato”.

E cosa faceva a casa? 

“Mangiavo, facevo tapis roulant, il riposino, scrivevo. Leggevo i faldoni per prepararmi all’interrogatorio”.

Il 14 novembre torna la libertà. “Chiamai mia madre, che era già fuori casa per la devastazione del terremoto. Mio fratello era in roulotte, lei nelle case dei terremotati. Non è mai tornata a casa sua, i lavori sono finiti nel 2018 quando sono stata assolta.

Numeri, date. Ricordi. 

Il 2 dicembre l’udienza al Tribunale delle Libertà, a Bologna. “Mio marito mi accompagna, entro. Udienza, accusata di essere irrispettosa dell’autorità giudiziaria per aver scritto ai miei studenti, via mail, che non potevo più far lezione”.

Un atto di affetto. Di rispetto. Pagato carissimo”.

Il 7 dicembre la telefonata dell’avvocato. “Devi andare via da Modena. Accusata di essere irrispettosa dell’Autorità giudiziaria, non avevo più nulla. Sospesa da ogni mansione, con il rischio di radiazione dall’ordine dei medici. Pensavo la mia vita fosse finita, e dovevo anche lasciare la casa. Persino la donna di servizio colombiana si vergognava di venire, mi aveva comunicato la volontà di smettere. Io ero passata da 15mila euro al mese a 800, un assegno di sussistenza. Ridicolo. Mio marito era tornato a lavorare nel privato, seppur in pensione, per andare avanti. E io quella sera gli ho dovuto dire che dovevamo andarcene”.

Lui come l’ha presa?

“Siamo andati a Venezia, al Lido, a casa nostra. A Modena i giornali scrissero «la professoressa Modena cacciata via è in un grand’Hotel di Parigi, o di Montecarlo, non si sa». E io ero al Lido, coi carabinieri che venivano ogni giorno, a controllare che fossi li. Da sola, nella nebbia, scrivevo e scrivevo, dormivo e guardavo la tv, mio marito arrivava su la domenica”.

Qualche aneddoto dell’esilio? 

“Un problema a un dente. 18 dicembre. Dico a mio marito «voglio andare dal mio dentista, a Modena». Mi ci ha portato, sapevo di contare sul silenzio. Poi ha voluto fare un giro a casa mia…avevo voglia delle mie cose. Entriamo. Scegliamo di dormire li. Doccia in casa mia, preparo alcune cose da prendere su. Dormiamo abbracciati con il bassotto. Ma mio marito va in bagno, apre la finestra, scatta l’allarme.  Panico. Prendo il telefono, faccio dire da mio marito ai carabinieri che è stato lui, per errore. Salvi. Il giorno dopo, coi passamontagna, ripartiamo”.

Non temeva la “beccassero?”

“No, era Natale. I controlli ai domiciliari erano random. Ho chiesto al legale di poter fare il Natale a casa, a Modena, mi hanno detto «no». Nizza, ovunque, si, ma non Modena. Andiamo a Nizza, allora. Tornando passiamo da mia madre, di nascosto, a Modena. Ci fa dei maccheroni…poi fuggiamo via, a Venezia.

Mi vede una vicina di casa…pettegola…Il giorno dopo dice a mia madre “Ho visto Titti ieri”. Grazie a Dio mia madre le dice «ti confondi, era una mia amica». Sarei finita in carcere. 

 Quando ha capito che non sarebbe mai stato più nulla come prima? 

“Il 17 febbraio 2013 ero in pasticceria a Venezia a comprare dei mignon. Mi chiamò l’avvocato, mi disse «può tornare a Modena, ma dovrà firmare in caserma tutti i giorni». Li capii che era finita davvero.

Uscivo per strada, mi davano delle stronza, della puttana, dell’assassina. Io camminavo, col cane, gli sguardi addosso.  Mi invitavano ai congressi, e regolarmente poi ritiravano l’invito. Sempre donne, che mi ferivano dicendo «sai Maria Grazia è meglio di no, l’ordine dei medici lo ritiene sconveniente»…robe così. Pugnalate”.

La cosa più dolorosa?  

“Quello che mi ha fatto più male però è che al ritorno in ospedale nessuno abbia chiesto come stavo. Come se nulla fosse successo. Avevo capito di stare sul cazzo a tanta gente. Molti amici mi hanno considerato colpevole. Molti amici si sono preoccupati di come stesse mio marito, ma a nessuno fregava nulla di come stessi io e i miei genitori. Parole di circostanza, frasi nulle. Nessuno che davvero si interessasse a come vivevo quanto accadutomi”. 

Racconta. Non c’è pretesa di mettere in fila rabbia e fastidio. E nella mente passano le donne di Sibilla Aleramo. Fosca di Tarchetti. Donne forti e temute. Archiviate in letteratura come streghe.

Quante volte si è chiesta a chi dava fastidio?

“Tante. Come dicevo prima, mi sono risposta a tutti. Alla massoneria, alla camorra, alla politica regionale e Bologna centrica. All’ospedale statale di Baggiovara. Alle persone allineate. A chi teme il progresso, la progettualità”. 

Non c’è rabbia, solo il riso amaro di chi sa di essere stata fregata da un paese incapace di tutelare i suoi talenti. 

“Potevo fare di tutto negli States o altrove..ho scelto qui”. Lo dice senza rabbia. Solo orgoglio, consapevolezza.

La scelta del rito abbreviato, “perchè sono innocente, volevo finire in fretta”.  La condanna in abbreviato, l’assoluzione in appello perché il fatto non sussiste per reati più gravi, e quella definitiva e totale in cassazione.

All’indomani della sentenza di assoluzione in Cassazione della Prof.ssa Maria Grazia Modena, il Procuratore Capo di Modena, oggi trasferita ad altra sede, Dott.ssa Lucia Musti, sostenne che era «stata fatta una “indagine sperimentale”, unica, al punto tale che lo stesso tipo di indagine è stata anche esportata all’estero perché è stata oggetto di studio in altri ordinamenti di altri stati», confessando, quindi, come la sperimentazione non fu condotta dalla Prof. Modena ma bensì dai NAS di Parma e dalla stessa Procura di Modena, cercando poi di rinnegare la sentenza di assoluzione in Cassazione dicendo che “la Corte non assolve”. (E quindi cosa fa? Ok giudica il merito e non i fatti, ma…).

Cosa l’ha tenuta in vita? Cosa le ha dato forza?

“Non ho mai perso la speranza. Ho sempre avuto la consapevolezza di non aver fatto nulla. Ho scritto, scritto, scritto. Creduto nel futuro, mentre il presente si sgretolava”.

Ma non solo è risultata innocente la Prof. Maria Grazia Modena ma tutto il suo staff, tutte le persone e le aziende chiamate in causa nella inchiesta “Camici Sporchi” sono state assolte in via definitiva in appello senza che la Procura ricorresse in cassazione. 

In particolare il Prof. Sangiorgi, scelto dalla Prof.ssa Modena per dirigere la sua Emodinamica, aveva, si, creato una personale e ramificata rete di relazioni nell’ambito del proprio lavoro grazie anche al suo indiscutibile carisma, alla sua capacità organizzativa e relazionale così come alla sua straordinaria produttività nelle sperimentazioni, ma tali caratteristiche – secondo la Corte – per lo più erano legate all’interesse generale, alla ricerca scientifica e al miglioramento della pratica clinica e con l’interesse della salute pubblica. Pur trascurando – i giudici sottolineano – qualche passaggio burocratico e amministrativo ritenuti dallo stesso incombenze inutili, Sangiorgi – al pari dei collaboratori – condusse ricerche e sperimentazioni nell’interesse dei pazienti.

Ma non c’è rabbia. C’è fiducia. Ancora.

“Non ho ancora riavuto il mio posto. Lo rivoglio. Voglio un piccolo team con chi ha scelto ri rimanere a lavorare con me. Voglio i miei pazienti, che amo. Voglio fare ricerca. Ho una casa bellissima, un marito meraviglioso. Rivoglio le mie tre passioni professionali”.

E’ una donna che crede ancora nella giustizia.

“Quella inquirente è stata pessima. Mi ha rovinato la vita e la carriera. Vito Zincani ha voluto tutto, poi e’ andato in pensione dopo aver archiviato le indagini sulle Coop, Cpl, che lui stesso aveva avviato. In pensione e’ diventato il garante delle stesse Coop.

Quella giudicante mi ha capito. A lungo termine mi ha dato ragione. Davo fastidio, ero scomoda. Ma ho fiducia, posso ancora fare tanto”.

 Fuma, nervosamente. Con le mani stringe quella vita che le è scappata via senza un perchè.

La forza di una donna. Bella. Competente. Carismatica. Intelligente ogni qualsiasi confine. Donna di scienza e di penna arguta. La rabbia e la paura. 

“Davo fastidio. Mi hanno rovinato la vita. Chiedo solo giustizia. Fossi stata un uomo in una grande città non mi sarebbe accaduto nulla. Chiedo altri non passino quello che ho passato io. Ancora”.

 

 

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