In corsivo – Parma Calcio, l’analisi di una stagione maledetta

Gli addii di Faggiano e D'Aversa, il Covid, il non ritiro. Il mercato a metà e l'esonero tardivo di Liverani, ma non solo...

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di Francesca Devincenzi

Una stagione può essere fatta di immagini. Di momenti, quelli in cui pensi “è fatta”. Oppure quelli in cui capisci che sarà un disastro.

Che quella del Parma appartenesse al secondo genere, avremmo forse dovuto capirla quando il Sassuolo ci ha riagguantato all’ultimo.

O prima ancora, quando lo ha fatto l’Inter a San Siro. O quando dopo la sconfitta di Crotone di non è arrivata la scossa.

Questa stagione, appiccicata alla precedente dal Covid, è nata male e sta rischiando di finire peggio. Andiamo a vederne un po’ di perché.

Manca qualche gara al termine della scorsa stagione, sul Parma le potenti mani di Al Mana, il ricco arabo. Sembra tutto fatto o quasi.

Voci mai confermate (e sempre smentite dalla società)- Cena in un noto ristorante. A tavola alcuni dei “sette soci”, soprassediamo su quali, annunciano a D’Aversa che l’arabo, che ancora non ha firmato uno straccio di compromesso, vuole De Zerbi, col quale Faggiano ha già trovato un accordo di massima.

Bob incassa, si salva sul campo.

In una conferenza la società fa sapere che sono tutti in vendita, che si punta a una squadra giovane.

Soldi finiti, dicono le malelingue.

Faggiano saluta, arriva Carli, che prova a parlare, insieme a Lucarelli, con D’Aversa. Nisba, esonero. Le strade si dividono: arriva Liverani, vecchio pupillo di Carli.

Il nuovo tecnico, con un’idea tutta nuova rispetto al predecessore, non ha tempo, non può fare il ritiro perché il Covid ha annullato la sosta.

Un giorno prima dell’inizio della stagione, arriva il nuovo presidente. Trattativa lampo: Kyle Krause è giovane, ambizioso, ambiziosissimo, ricco, ricchissimo.

Ha già investimenti variegati in mezzo mondo, qualcuno anche in Italia. Strainveste sul mercato, vuole dei giovani, Carli pesca il meglio possibile.

E va riconosciuto al diesse che alcuni sono talenti cristallini. Ma avevano bisogno di ambientarsi, e la serie A non è un campionato che concede tempo. Forse Carli avrebbe dovuto alzare la voce, imporre anche acquisti “datati!, quell'”usato sicuro” che in A fa la differenza.

Ma non lo ha fatto.

Ed ecco dei giovani non pronti, alcuni anche acciaccati, e i senatori un anno più anziani: Alves e Gervinho in primis, ma anche Iacoponi non è stato benedetto dalla condizione quest’anno. 

Il resto lo ha fatto l’idea di gioco di Liverani. Lo ha fatto cambiare nell’anno in cui più che mai serviva non farlo, senza ritiro ne estate: difesa altissima con una squadra abituata a chiudersi bassissima: crisi della difesa, crisi irreversibile di Sepe che non azzecca una partita fosse una mentre lo scorso anno era in orbita nazionale. Che sia scritto sul suo contratto che non può giocare Colombi salvo non si faccia male?

Il Covid, l’organico decimato. 

Poi, la maledizione dei risultati: la sconfitta col Napoli, la debacle col Bologna. Tre punti con Verona e Genoa a Marassi, ma in mezzo gare orribili, punti gettati a Udine, in casa contro lo Spezia, la rimonta al fotofinish dell’Inter.

Poi la sfilata dei pareggi inutili, e la sfilza: 0-4 con la Juve, 2-1 a Crotone, 0-3 col Torino, 3-0 a Bergamo. Qui l’esonero di Liverani, che forse doveva arrivare dopo Crotone, per salvare il salvabile.

Il ritorno di Bob il salvatore, 0-2 con la Lazio dopo due allenamenti, il pareggio di Sassuolo per un rigore assurdo allo scadere. La squadra che perde fiducia in se stessa.

Le sconfitte con Samp e Napoli, poi 3 gol dal Bologna. Forse l’inizio dell’ombra vera della retrocessione. Verona, sconfitta in rimonta.

Udinese e Spezia, due pareggi subiti da doppio vantaggio. il 3-3 di Firenze, autogol di Iacoponi. Che l’uomo simbolo della rinascita infili la sua porta allo scadere dove dirci che davvero non è stagione. 

La vittoria sulla Roma ci ha illuso, poi la lenta caduta verso gli inferi. A Cagliari, “lasciate ogni speranza voi ch avete perso” – direbbe Dante. Non è finita, crederci però è durissima. 

Le colpe? Chi le da ai “sette”. Per aver detto “nessuno è necessario”, smontando gli umori. Per aver preso Liverani, abbandonato Krause senza un subentro graduale. Chi se la prende con D’Aversa, “ha avuto culo gli altri anni, ora la paghiamo, non meritavamo ciò che abbiamo avuto”.

Qualche decisione arbitrale discutibile si somma alla macedonia di tutto. 

Forse è colpa di tutto. E di niente. Degli stadi vuoti, del tifo che manca. Di un annata maledetta, che chissà non possa ancora finire in bellezza.  La nostra vittoria più bella, questa immagine, due avversari, in mezzo al campo, uno piange, l’altro lo consola. Dategli del mercenario, per chi scrive è attaccamento alla maglia, quella lacrima sul visto. 

Il gioco delle colpe, lasciamolo a fine stagione. Ora serve compattezza. E una consapevolezza: abbiamo un presidente ricco e ambizioso. Diciamo grazie, invece di riempire i social di fesserie. 

 

 

 

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