Processo Pesci, il pm chiede 9 anni di reclusione

Parti civili: chiesti almeno 35mila euro di provvisionale immediatamente esecutiva e un milione di euro per il Comune di Parma

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La scure di nero vestita, come fosse Samarcanda, che si abbatte su Federico Pesci rischia di andare a braccetto con il lupo che la presunta vittima vede spesso, e del quale ha paura.

La scure di nero vestita sono i nove anni di reclusione chiesti dal PM: per lui quella notte fu violenza, la ragazza, all’epoca 22enne, contattata dell’imprenditore via Facebook per una prestazione sessuale a pagamento, avrebbe detto più volte “basta”.

Non avrebbe gradito le pratiche bondage, e nonostante sia stato dimostrato che ha un qi inferiore alla media e una personalità borderline, nonostante affermi di vedere un lupo e delle mani insanguinate che la rincorrono, è in grado di testimoniare. Questa l’idea del PM, Andrea Bianchi. Per lui, è stata violenza. E se lo è stata nessuna condanna sarebbe mai sufficiente.

Dall’altra parte, l’imprenditore, 48 anni e la vita già rovinata, a prescindere da qualsiasi sentenza. Parma è un paesone, dove lui sarà per sempre “lo stupratore”, comunque finisca. Mercoledì in udienza ha gridato nuovamente la sua versione, e la sua disperazione. 

Non ha mai negato di averla contattata, pagata, non nega il sesso, a tratti l’uso di giochi erotici,  ma la violenza si. Mettendo in campo il peso economico e morale su di lui e la sua famiglia di un processo iniziato sui giornali prima che in aula. E i messaggi, affettuosi, con la ragazza, la sera successiva. 

Il pusher nigeriano Wilson Ndu Anyem, terzo elemento della notte nell’attico di lusso del 48enne, sta già scontando cinque anni e rotti, già condannato in tre gradi di giudizio per lo stesso reato aggravato dallo spaccio. Difficile immaginare quanto questo possa pesare sulle decisioni del collegio.

Quanto pesino sui giudizi le chiacchiere sullo stile di vita, sicuramente moralmente non condivisibile e sopra le righe, magari deprecabile ma non necessariamente illegale dell’imprenditore, quanto pesino le battaglie femministe (legittime e assolutamente condivisibili, quando si tratti veramente di violenza di genere), i centri di potere, difficile prevederlo.

“Ci sono due vittime, la ragazza e Pesci” – sostiene da sempre Fabio Anselmo, uno dei legali. Che ha contestato in più occasioni la perizia sulla presunta vittima, ha denunciato la stessa perita. Ci sono i verbali di testimonianza di persone vicine all’imputato che lo raccontano e difendono, archiviati in un fascicolo a parte.

Poi le richieste di chi si è costituito parte civile, i rimborsi, solitamente da stabilirsi in altra sede ma che potrebbero essere comminati già ora: 35mila euro di provvisionale immediatamente esecutiva per la ragazza, chiede il suo legale, mentre quello del centro antiviolenza ne chiede 20mila e una “condanna esemplare”. Il legale del Comune, chiede 1 milione di euro, in nome di tutte le battaglie fatte contro la violenza di genere.

In mezzo, due anni e mezzo, ormai quasi tre, di inchiostro speso e vite stracciate via. Il dramma umano oltre quello giudiziario. Quello della presunta “vittima”, cui nessuna condanna può curare le ferite inferte dalla vita prima che da Pesci, quello del presunto “stupratore”, cui nessuna assoluzione giudiziaria potrebbe dare quella dell’immaginario comune.

 

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