Italia vs Digital transformation

Una partita, forse, ancora tutta giocare.

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In questi mesi si è parlato molto di digital divide e digitaltransformation e lo si è fatto per ovvie ragioni dovute anche alla pandemia. Ma cosa sappiamo esattamente sull’argomento e a che punto stiamo in Italia?

Quelli legati alla trasformazione digitale sono temi che si portano dietro una serie di termini che talvolta diventano etichette, alcune attinenti e precipue, altre meno, e che non tutti conoscono, come rivoluzione 4.0, manager sociali, industria 4.0, ma anche definizioni di matrice più sociologica, vedi “capitale umano oallusivo-figurativa “punto di non ritorno”.

È normale che intorno alle novità nascano spesso dei vocabolariad hoc, l’importante è non perdere di vista il contenuto.

Le aziende in Italia soffrono di un’arretratezza digitale che pone il Paese in una posizione da fanalino di coda nelle statistiche europee.

Dall’università e lo scollamento, se non la totale assenza di dialogo, tra accademia e impresa, dall’emorragia continua dei cervelli che salpano per lidi tecnologicamente più avanzati, vedi il Nord Europa e l’America, alla scarsa collaborazione delle istituzioni in termini di sostegni e sovvenzioni per l’emancipazione tecnologica dell’industria, oltre che della stessa amministrazione, l’Italia è ancora e purtroppo molto indietro sul tema del digitale.

Questioni che non si risolvono in breve, tuttavia qualche piccolo segno di speranza inizia ad affacciarsi all’orizzonte.

Intanto sappiamo che dall’UE giungeranno 128 milioni per migliorare la capacità tecnologica e industriale prevalentemente nel campo medico e della ricerca. Mentre il 30 luglio il Sole 24 Ore ha annunciato che arriveranno grazie al “Fondo Eureka!, 38 milioni per il deeptech dei nuovi materiali”.

Nanotecnologie, materiali innovativi ed elettronica stampabile sono infatti gli investimenti nel mirino di Eureka! Venture Sgr, il primo operatore indipendente in Italia specializzato in investimenti deeptech, ossia in startup, spin off e Pmi provenienti o collegate con centri di ricerca e Università.

Di fronte a queste notizie che riguardano sia il post emergenza ma anche azioni e settori che rintracciano criticità come quelle citate sopra, ovvero la necessità di “riconnettere” università e imprese, pare che qualcosa si stia muovendo.

Non dobbiamo però dimenticarci che esisto aziende che il loro percorso lo hanno già intrapreso, basti guardare i colossi dell’eCommerce, il settore dello sharing e del delivery, quello dell’intrattenimento e dello svago.

Nel mondo degli acquisti esistono aziende che da tempo stanno utilizzando il Virtual Commerce aka vCommerce: per esempio l’applicazione di Ikea permette di visualizzare e arredare virtualmente le proprie stanze attraverso l’utilizzo del tuo smartphone. In questo modo non si corre il rischio di comprare qualcosa che poi non si adatta alla casa. Anche Amazon non si è fatto attendere. L’azienda ha brevettato uno specchio che permette di vedere addosso e provare, virtualmente, dei vestiti.

Il boom dei monopattini nelle principali città italiane è sotto gli occhi di tutti, un’idea per il settore sharing, dopo le auto e i motorini, di innegabile successo e a portata di app. Tra l’altro la concorrenza è già molta, si va da Helbiz a Lime, Dott e Bird, per citarne solo alcuni.

Nell’intrattenimento, ma anche nello svago possiamo fare riferimento ai gettonatissimi casinò on line dove l’innovazione digitale è un must, qui troviamo ormai da anni la possibilità di avvalerci del live streaming, quel tipo di tecnologia che permette di giocare a distanza con l’assistenza di croupier veri.

E infine l’on demand e il PPV, ovvero pay per view” che hanno letteralmente rivoluzionato la cultura dell’home vision con Netflix, Disney plus e tutte le altre piattaforme.

Per concludere, il consiglio che possiamo dare a chi vuole capirci di più, manager compresi, è di guardare alle buone pratiche delle aziende che nei diversi settori sono state in grado di anticipare quella trasformazione che ora si rende necessaria e urgente se vogliamo essere competitivi nel panorama europeo e globale, o perlomeno tentare di recuperare un po’ quell’immenso divario che negli hanno ci ha visto inesorabilmente scendere nelle classifiche dell’innovazione tecnologica.

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