Cannabis light – Chiusa attività per sei mesi, sequestrati 19 chili di infiorescenze

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Divieto di svolgere attività imprenditorriale e commerciale di prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis light per sei mesi, sequestro preventivo del sito internet e di 19 chili di infiorescenze e di oli di canapa all’interno dei negozi. E’ questo il provvedimento, emesso dal Gip del Tribunale di Parma Alessandro Conti su richiesta della Procura della Repubblica di Parma, che è stato eseguito nella giornata di martedì 26 maggio a carico di un imprenditore parmigiano, attivo del settore della cannabis light.

Due negozi, a Parma e a Bologna, sono stati perquisiti, su disposizione del Procuratore della Repubblica Alfonso D’Avino, e dal Sostituto Procuratore della Repubblica Francesca Arienti, “al fine di descrivere – si legge in una nota della Procura – i prodotti offerti in vendita e di distinguere tra quelli di libera vendita e le foglie, inflorescenze, olii, resine, la cui commercializzazione costituisce reato”.

Il provvedimento, adottato nei confronti dell’imprenditore, segue alle attività investigative sul fenomeno della vendita di infiorescenze di cannabis che nel 2019 portarono a numerose perquisizioni e sequestri nei confronti di negozi attivi nel settore della commercializzazione di prodotti derivati dalla canapa e, in particolare, di infiorescenze. Alcune persone furono indagate per detenzione e commercializzazione, ai fini di spaccio, di sostanze stupefacenti, dopo la sentenza della Corte di Cassazione del mese di maggio.

Gli indagati avevano presentato ricorso sostenendo come la sentenza a Sezioni Unite n. 30475 del 30 maggio 2019 della Corte di Cassazione avesse, di fatto, sancito l’esclusione della responsabilità penale dell’agente-commerciante nel caso in cui i derivati della cannabis fossero privi, in concreto, di ogni efficacia drogante o psicotropa, in ossequio al principio di necessaria offensività del reato. In sintesi, alla luce della predetta sentenza -nell’ottica degli indagati che avevano proposto ricorso- la condotta di commercializzazione di singole dosi di cannabis sativa L,con un principio attivo inferiore allo 0,5%, avrebbe dovuto essere valutata come non penalmente rilevante, in quanto concretamente inoffensiva.

La Corte di Cassazione, invece nel richiamare puntualmente i principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza del maggio 2019, ha confermato come, a prescindere dalla percentuale di principio attivo, “il commercio o anche solo la messa in vendita di cannabis costituisca reato”. La Suprema Corte, inoltre, afferma che “rispetto all’oggetto materiale della condotta, non ha senso alcuno definire la sostanza come “light” alla luce della quantità di principio attivo in essa contenuto” e che “[…] la detenzione per la vendita, la messa in commercio e la vendita di cannabis (foglie, infiorescenza, olio, resina) sono tutte condotte alternativamente previste e sanzionate come reato dall’art. 73, commi 1 e 4, D.P.R. n. 309/90″ (spaccio di sostanze stupefacenti).

Nel mese di luglio i negozi dell’imprenditore parmigiano era già stati sottoposti a perquisizioni, che avevano portato al sequestro di un “rilevantissimo quantitativo di Canapa Sativa L e di svariati litri di olio di canapa”. 

“A seguito dello svolgimento di analisi tossicologiche sui materiali sottoposti a sequestro – scrive la Procura – i consulenti medico legali incaricati hanno concluso che un consistente quantitativo tra i prodotti sequestrati sono dotati di concreta efficacia drogante, con principio attivo complessivo pari a oltre 1.200 grammi, corrispondenti a circa 250.000 dosi medie singole di sostanza stupefacente del tipo cannabis”.

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