“Via Burla, l’apertura del nuovo padiglione non sa da fare”

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Come sindacati di polizia penitenziaria di FP CGIL, FNS CISL e USPP territoriali ci rivolgiamo alle testate locali con una lettera aperta per lanciare un appello contro l’apertura del nuovo padiglione del carcere di via Burla e sollecitare alcune riflessioni sulle conseguenze di tale scelta. Una lettera che si rivolge ai cittadini, alle Istituzioni e a tutti coloro che hanno a cuore il benessere degli operatori dell’istituto ducale e del territorio.

Sin dal luglio scorso abbiamo cercato di sensibilizzare tutti gli attori coinvolti nella vicenda, ritenendo che l’apertura del padiglione debba sì avvenire, ma so0lo se vi siano le condizioni per tradurre nel concreto i principi costituzionali dell’art. 27 e non solo. Basti pensare che ad oggi non sappiamo nemmeno se l’apertura consentirà gli elementari diritti minimi previsti per l’orario di lavoro.

Purtroppo fino ad oggi l’amministrazione penitenziaria è sembrata sorda agli appelli e alle proposte, finalizzati a trovare le migliori soluzioni ad un problema tutt’altro che semplice.

Il tasso di affollamento in Italia resta sopra il 100%. Oggi è al 112,2%, contro il 130,4% di qualche mese fa. È un tasso ancora alto, ma inferiore di 18 punti rispetto a ieri. Pertanto sembra che l’idea della amministrazione e della politica, attraverso calcoli freddi dettati dalla lettura dei dati, sia quella semplicemente di ospitare gente nuova. E con quali risorse umane e materiali?

L’istituto parmense ha un numero ridotto di educatori, già insufficiente a soddisfare i bisogni delle persone oggi. Si rammenta che sono attualmente presenti circa 600 detenuti e domani potrebbero essere 800. Sono previste ulteriori figure? Se no, quali risposte si potranno dare ai bisogni delle persone che saranno ospitate in via Burla? E se le risposte non possono essere date, quali ricadute ci saranno sugli operatori della sicurezza? Sarebbe opportuno rileggere gli articoli di cronaca apparsi su tutte le testate relativi ai fatti accaduti nel carcere parmense nei mesi scorsi (aggressioni, criticità, etc.). In più l’amministrazione dimentica che in questa realtà la sola carenza di sottufficiali è di poco superiore all’80% e dimentica, o fa finta di dimenticare, che qui manca un direttore in forma stabile ed altre figure previste per affiancarlo. Sono dati questi.

In occasione della riunione della commissione Affari istituzionali e servizi sociali, sanità e sicurezza del 16 gennaio scorso presso la sala consiliare del Comune di Parma emersero le criticità circa i fondi e le risorse, probabilmente insufficienti, visto che è stata stanziata la stessa cifra dell’anno precedente a fronte invece di 200 persone in più. Sarebbe quindi opportuno conoscere se le risorse oggi siano sufficienti o meno per aprire il nuovo padiglione.

Nel 2018 venne annunciata la nascita a Parma del “Polo Universitario Penitenziario (PUP). Il PUP è un contesto di studio istituito al fine di agevolare l’accesso dei detenuti ai corsi universitari e rimuovere gli ostacoli che ne possono rallentare il percorso di studi. Quello di Parma sarà il primo Polo Universitario Penitenziario ad accogliere detenuti in regime di alta sicurezza (1 e 3)”. In quella occasione venne comunicato che sarebbe stata organizzata una vera e propria “Sezione Universitaria”, che ospiterà detenuti iscritti all’Università di Parma con spazi detentivi idonei allo studio. Allora perché non destinare il nuovo padiglione agli studenti universitari oggi presenti in istituto?

Altro tema da non sottovalutare è quello sanitario. Non va sottaciuto che l’istituto intitolato a “Capuano, Marchesano, Patrone” ospita un centro clinico (S.A.I.), la cui finalità è quella di garantire ai detenuti forme di assistenza più continua e specialistica rispetto all’offerta assistenziale garantita nelle sezioni detentive ordinarie. In merito alle forme di assistenza riteniamo che sia utile conoscere anche le risorse da destinare a questa struttura, risorse che dovranno essere attinte dalle strutture esterne, oggi impegnate nell’emergenza sanitaria. In altre parole quanti medici, infermieri, OSS, per i quali si vuole sottolineare la necessità della presenza anche in futuro e non solo nel momento attuale, saranno messi a disposizione della struttura?

Sembrerebbe che le persone che saranno ospitate nel nuovo padiglione afferiscano al circuito della media sicurezza. In sostanza è gente che ha o commesso o è indagata/imputata per reati comuni e quindi ha o potrebbe avere pene brevi. Inoltre, alla luce del principio di “territorialità della pena” i detenuti qui ospitati potrebbero risiedere, se non tutti, ma la maggioranza, nel territorio.

Se il principio è applicato e se le pene sono brevi, ne consegue che il problema sul territorio non sarà dopodomani, ma appena sorge il sole.

Ed appunto al territorio rivolgiamo alcune domande: la presenza di ulteriori 200 persone impatterà sui loro servizi? Avranno gli enti locali la capacità di affrontare un ennesimo problema come questo? Hanno le risorse umane e materiali per far fronte a tutto ciò?

Come si può riscontrare l’apertura non ha solo conseguenze pratiche sugli operatori penitenziari, ma anche su altri soggetti. Senza però un progetto serio paventiamo che oggi e domani (un domani non molto lontano) dovremo ancora leggere articoli su come affrontare l’emergenza.

Per tutte queste ragioni riteniamo che questa apertura non s’ha da fare ora, se non dietro ad un serio progetto, del quale non si intravedono neanche le linee guida.

Ringraziamo dell’ospitalità ed auspichiamo che queste poche righe non siano solo una denuncia del problema, ma che possano dare la stura ad un dibattito in città ed in provincia, prima che l’irreparabile accada.

 

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