Bologna, Strangio, Lazzarini: così agivano gli uomini del boss in città

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Salvatore Grande Aracri da Brescello, figlio di Francesco e fratello di Paolo e Rosita, a Parma contava su amici fidati, che seguivano i suoi affari. Soprattutto, tre, Giuseppe Stangio, Giuseppe Lazzarini e Claudio Bologna.

Giuseppe “Pino” Strangio, 49 anni originario di Rocca di Neto a Traversetolo da sempre, secondo gli inquirenti  “aveva mantenuto conoscenze tra i clan di ‘ndrangheta calabresi”.

A detta dei pentiti  Giuseppe Giglio e Salvatore Muto (1977), figure di spicco della maxi inchiesta Aemilia era perfettamente immerso nelle cosche emiliane: le accuse associazione mafiosa ed estorsione.

Avrebbe partecipato anche al summit di Voghera – per calmare la cosca rivale, sconfitta –  dopo che la società mantovana Riso Roncaia, aveva vinto grazie all’intervento dei Grande Aracri il bando europeo Agea. E in seguito avrebbe minacciato i titolari dell’azienda in ritardo nell’assegnare alla cosca i trasporti di di riso.

Claudio Bologna, 54 anni, origini milanesi, residente in via Brozzi, insieme a Strangio, a Salvatore Grande Aracri, Francesco Muto,  Giuseppe Caruso (diventato presidente del consiglio comunale di Piacenza), ad Albino Caruso e a Domenico Spagnolo è accusato di estorsione.

Uno specialista anche della truffa, però, secondo gli inquirenti: grazie all’appoggio di un nipote, dipendente di banca, e con il concorso di Salvatore Grande Aracri e dei fratelli Caruso, aveva fatto credere ai titolari dell’azienda Riso Roncaia di poter ottenere una linea di credito di 5 milioni. Finanziamento mai arrivato, ma in cambio il gruppo avrebbe ricevuto dagli imprenditori 28mila euro.

C’è  anche Giuseppe Lazzarini, 36 anni, origini crotonesi e residenza ufficiale a Cutro, ma da tempo trasferito a Sorbolo. Vanta già  una pena definitiva nel processo «Aemilia» per una tentata estorsione nei confronti del titolare di uno stabilimento balneare di Ravenna e nei mesi scorsi è stato condannato in primo grado dal gup di Parma a 2 anni e 8 mesi per false fatturazioni e rinviato a giudizio per associazione a delinquere nell’ambito dell’Operazione Paga Globale, su false malati e truffe a erario e Inps.

In questo caso l’accusa è associazione mafiosa, oltre intestazione fittizia, ci sarebbe anche la sua mano dietro i passaggi societari fatti per occultare l’effettiva titolarità delle quote della discoteca Los Angeles di Quattro Castella, in modo che non comparissero i nomi di Salvatore Grande Aracri e Antonio Muto.

Poi ci sono i prestanome, sette le teste di legno indagata a piede libero. Tra loro Guerino Cenci e la consulente del lavoro Monica Pasini.

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