“Questa pizzeria è di Salvatore”: così Grande Aracri troneggiava in città – LE INTERCETTAZIONI

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L’operazione Grimilde ha messo in luce una verità che era già nota a molti: gli interessi della ‘ndrangheta – e più in generale della criminalità organizzata – si sono da anni spostate (anche) al Nord. Il loro cavallo di Troia è, come spesso capita in queste occasioni, la politica.

E chi pensava che il commissariamento per mafia di Brescello fosse un caso isolato, legato alla fiabesca atmosfera da Don Camillo e Peppone, è stato smentito.

Pesanti intercettazioni inguaiano il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso (Fratelli d’Italia), e in attesa che sia rinviato a giudizio, processato e in caso ritenuto colpevole, il quadro emerso dalle intercettazioni della dda dell’Emila Romagna offre un disegno dai confini netti e con fattezze amaramente note.

“Perché io ho mille amicizie, da tutte le parti, bancari, oleifici, industriali, tutto quello che vuoi – diceva Giuseppe Caruso in un’intercettazione datata 8 settembre 2015 (a testimonianza di quanto questa pista sia stata seguita per lungo tempo -. Quindi io so dove bussare. Quindi se tu mi tieni esterno ti dà vantaggio, se tu mi immischi, dopo che mi hai immischiato e mi hai bruciato, è finita”.

Ma altre intercettazioni mostrano come Parma, dove la maxi operazione Aemilia aveva già scoperchiato un girone infernale di locali prestanomi, sia meno immune di come vorremmo pensare.

Tre gli arresti a Parma Giuseppe Lazzarini, già indagato nell’ambito dell’operazione “Paga Globale” e Giuseppe Strangio, accusati di associazione mafiosa, e Claudio Bologna, accusato di associazione esterna.

L’operazione “Grimilde” ha scoperchiato un giro di prestanome, intestazioni fittizie, carte Postepay, conti correnti, finanziamenti, ditte nel settore delle costruzioni, locali pubblici. Una pizzeria da asporto è considerata dagli inquirenti come un punto di riferimento per i vertici del gruppo criminale: avrebbe funzionato da un lato come fonte di guadagno per la cosca e dall’altro come possibilità di impiegare e riciclare denaro illecito, frutto di attività illegali sul territorio.

Nel periodo compreso tra il 2015 ed il 2017 la pizzeria, intestata prima ad un prestanome e poi ad un secondo, che “era nella piena e diretta disponibilità” di Salvatore Grande Aracri, considerato dagli inquirenti uno dei tre capi dell’organizzazione, arrestato per una serie di reati, tra i quali associazione mafiosa.

La pizzeria era stata inaugurata nel settembre del 2015 dopo che una società immobiliare, anch’essa controllata dalla cosca ‘ndranghetista, aveva concesso i locali in locazione. “Questa pizzeria appartiene a Salvatore” si legge nel testo di un’intercettazione.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti sarebbe stato lui il gestore occulto della pizzeria d’asporto: le intercettazioni ambientali e i pedinamenti effettuati dalla Squadra Mobile di Parma e di Bologna dimostrerebbero infatti la presenza costante del capo clan calabrese a Parma, proprio nei pressi della pizzeria per controllarne l’attività, il guadagno mensile e per procedere al pagamento dei dipendenti. Oltre a questo, sempre secondo l’accusa, era lui ad occuparsi di gestire le buste paga, di contattare i fornitori, di controllare l’affluenza dei clienti. In un caso Salvatore Grande Aracri al telefono si rivolge ad un fornitore, riferendodi probabilmente ad un mancato pagamento dicendo: “Ma c’erano i miei dipendenti, i dipendenti non possono pensare che non paghi la gente”. 

Poi la pizzeria è stata venduta allo scopo di ottenere liquidità, che avevano l’obiettivo di finanziare la cosca, o altri investimenti, in un vortice di soldi e interessi da cui nessuno deve considerarsi immune.

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