Unioni civili e coppie omosessuali – La storia di Anna, Giulia e il figlio con-teso

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Due donne, chiamiamole Anna a Giulia, un amore, il figlio di Anna che Giulia vorrebbe la legge facesse anche suo. Ma la legge, la Politica e la Procura dicono no. In mezzo, la legge sulle coppie di fatto. Ma la legge dice: o lo adotti o l’hai fatto con lei in un paese dove si può, cosa non permessa in Italia.

Il Capo Procuratori di Parma Dr. D’avino chiarisce: un conto la legge, un conto le motivazioni dei giudici che, a quanto pare, per il procuratore sono un po’ personali. Al Tribunale, l’ultima parola.

Nell’ambito di una procedura avviata dinanzi al Tribunale di Parma, finalizzata ad ottenere l’annullamento del rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Fidenza al riconoscimento, come figlio, da parte di una donna unita civilmente alla madre biologica del piccolo, il Procuratore della Repubblica di Parma ha formulato un “intervento” nel quale ha espresso contrarietà alla richiesta difensiva.

La vicenda si inserisce nell’ambito del delicato problema della possibilità che un bambino venga riconosciuto come figlio di una coppia omosessuale, possibilità che, nell’ordinamento italiano, ad oggi nessuna norma consente o prevede.  

Sino a questo momento, in buona sostanza, si era cercato di raggiungere tale obiettivo attraverso due strade: l’adozione e la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero (nei paesi che consentono il riconoscimento da parte della coppia omosessuale). 

Sul punto vi sono state diverse pronunzie dei giudici ed il percorso non ha avuto ancora uno sbocco definitivo (sulla questione della trascrizione, ad esempio, si è in attesa della decisione delle Sezioni Unite della Cassazione che a novembre 2018 si sono riservate la decisione).

Rispetto a queste due categorie appena citate, il procedimento odierno costituisce una terza modalità per arrivare all’obiettivo.

Nel caso di specie il bambino -concepito con la tecnica della procreazione medicalmente assistita– è nato in Italia ed è stato riconosciuto dalla madre con regolare dichiarazione di nascita all’Ufficio di Stato Civile.

Successivamente, la donna unita civilmente con la madre del bambino, con il consenso di quest’ultima, si è rivolta all’Ufficiale dello Stato Civile, chiedendo di effettuare il “riconoscimento successivo”, come seconda madre, e di aggiungere il proprio cognome al cognome del bambino.

L’Ufficiale dello Stato Civile ha respinto la richiesta, evidenziando come la normativa vigente non consenta il riconoscimento di figli da parte di coppie omosessuali, ma prevede come necessaria la menzione, nella dichiarazione di nascita, della madre e/o padre, il che presuppone che i genitori siano di sesso diverso, e specificando poi che la dichiarazione di nascita potrà essere recepita indicando come madre esclusivamente colei che ha partorito e che renderà il riconoscimento di filiazione, per cui non potrà comparire come altro genitore una seconda madre, evenienza non prevista da alcuna disposizione. Inoltre l’Ufficiale di Stato Civile ha aggiunto che la cosiddetta legge Cirinnà, che pure disciplina diritti e doveri nell’ambito delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, non fa cenno alcuno a norme sulla filiazione ed infine che l’Ufficiale di Stato Civile è vincolato alle formule ministeriali che non consentono la doppia maternità.

Contro tale provvedimento, il difensore della coppia ha presentato ricorso al Tribunale di Parma, in cui -dopo aver evidenziato che il figlio è stato concepito all’estero a seguito di procreazione assistita (P.M.A.) ha prospettato come illegittimo il rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile, evidenziando che, in altre situazioni (o in base a provvedimenti del Sindaco quale Ufficiale dello Stato Civile o -nei casi di rifiuto da parte dell’Ufficiale di Stato Civile- in base a provvedimenti giudiziari), il riconoscimento era stato consentito. La difesa ha argomentato la propria richiesta sulla base di alcune considerazioni, tra cui:

  • la tutela del superiore interesse del minore (che richiederebbe la protezione di due genitori invece che di uno solo);
  • la conformità alla legge del riconoscimento in questione;
  • il richiamo ad alcuni articoli della legge n° 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, la cui lettura legittimerebbe il riconoscimento richiesto;
  • la circostanza che diversi Tribunali abbiano riconosciuto la legittimità di tale riconoscimento, ordinando all’Ufficiale di Stato Civile di procedere alle annotazioni sull’atto di nascita;
  • la circostanza -citata in uno dei provvedimenti giudiziari- che l’attribuzione del doppio cognome sarebbe prevista a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 2016.

Il Procuratore della Repubblica di Parma si è opposto a questa richiesta, evidenziando che essa non sarebbe prevista dal nostro ordinamento giuridico, per cui -allo stato dell’attuale legislazione- il riconoscimento del figlio di una donna, da parte di una persona dello stesso sesso (sia essa convivente o unita civilmente alla madre del bambino), sarebbe vietata.

In considerazione della circostanza che la richiesta -rigettata dalla competente autorità amministrativa- viene rivolta all’Autorità Giudiziaria, il Procuratore ha evocato il fondamentale principio della separazione dei poteri, con il richiamo alla distinzione tra il potere legislativo (cui spetta il compito di fare le leggi) ed il potere giudiziario (cui spetta il potere di applicare le leggi), nel rispetto delle reciproche perimetrazioni.

Quanto al superiore interesse del minore, dopo aver evidenziato l’assoluta condivisibilità di tale principio, il Procuratore ha osservato come tale concetto non possa essere piegato al punto tale da far ritenere (come qualche provvedimento giudiziario ha motivato) che esso verrebbe irrimediabilmente leso se non si consentisse il riconoscimento da parte della seconda madre.

Quanto alla circostanza che il riconoscimento in questione sarebbe consentito dalla legge, il Procuratore ha evidenziato che le norme che si occupano del riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio (ossia proprio quello a cui fanno riferimento le due donne in questione ed il loro difensore) non prevedono affatto il riconoscimento da parte di una coppia omosessuale. Infatti gli articoli 250 e 254 del codice civile ed DPR 396/00 prevedono che Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto dalla madre e dal padre, il che significa persone di sesso diverso. D’altra parte queste norme hanno subito tante modifiche nel corso del tempo (tra cui nel 2012, nel 2013, nel 2015) per cui, se il Legislatore -l’unico che può creare la legge- avesse voluto consentire tale possibilità anche alle coppie omosessuali, non avrebbe mancato di farlo.

Quanto alla circostanza secondo cui la legge 40/04 -alla luce di qualche provvedimento giudiziario- consentirebbe alle coppie omosessuali il riconoscimento di figlio, il Procuratore ha osservato che l’articolo 5 della legge 40/04 recita testualmente che “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”. Pertanto la volontà esplicita e sovrana del legislatore (che il Giudice deve limitarsi ad applicare) appare chiara e non suscettibile di diversa lettura: essa è quella, dunque, di escludere che le coppie omosessuali possano far ricorso a tecniche siffatte.

Né potrebbe valere il richiamo alla cosiddetta legge Cirinnà: a tal proposito il Procuratore ha evidenziato che, trattandosi di una legge recente (del 2016) che ha introdotto le unioni civili, se il Legislatore avesse voluto, avrebbe legiferato anche in materia di filiazione; non lo ha fatto, per cui il Giudice non può -a parere dell’Ufficio requirente- intervenire lì dove il titolare del potere legislativo (ovvero il Parlamento) non ha inteso intervenire.

Quanto alla circostanza secondo cui il doppio cognome sarebbe consentito alla luce della sentenza n° 286/16 della Corte Costituzionale, il Procuratore ha evidenziato come, nella citata sentenza, la Corte Costituzionale abbia sancito il diritto del bambino ad avere -se i coniugi/genitori siano d’accordo- non solo il cognome del padre, ma anche il cognome della madre, ma non ha sancito affatto il diritto del bambino ad avere due cognomi, a chiunque appartengano.

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L’Avvocatura dello Stato, intervenuta nel giudizio, ha eccepito l’incompetenza del Tribunale di Parma e comunque ha chiesto il rigetto della istanza della difesa. 

All’esito dell’udienza, in cui ciascuna delle parti si è riportata alle proprie posizioni, Il Tribunale di Parma si è riservato di decidere.

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