“Rapimento” del figlio: Maurizio Rigamonti condannato a un anno. Sospesa per due anni la patria potestà

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Era stato in tv, a raccontare la sua fuga con il figlio di otto anni, Maurizio Rigamonti. Si era anche fatto un tatuaggio: “Together forever”, cioè «Insieme per sempre». Il tutto durante una vacanza, considerata dall’ex moglie una fuga con il il figlio di 8 anni “conteso” con la madre.

Lunedì Maurizio Rigamonti è stato condannato, per quella “vacanza – fuga” a un anno per sottrazione internazionale di minore, con due anni di sospensione dalla responsalità genitoriale. 

L’uomo, imprenditore parmigiano, aveva in custodia il figlio per il weekend della Befana del 2014, ma non era più tornato, esasperato dalle battaglie legali, in guerra contro l’ex moglie Lura Calder per l’affidamento del bambino.

Ricomparso dopo alcune settimane, Rigamonti aveva trovato l’amara sorpresa: l’ex moglie aveva presentato al Tribunale di Parma un’istanza d’urgenza per avere l’affidamento esclusivo del figlio.

Ai nonni paterni Rigamonti aveva detto che avrebbe portato il figlio per una settimana bianca in Trentino, ma le notizie di lui e del piccolo arrivate via mail e via Facebook hanno dipinto un’altra verità: quella di un gesto esasperato per vedere riconosciuti i propri diritti di padre. “Ci sono sempre delle ragioni dietro a delle scelte disperate, che non sono motivate solo dalla follia o dall’irrazionalità, ma che sono motivate da situazioni in cui nulla sembra più avere una logica” scriveva Rigamonti sulla sua pagina di Facebook, in cui sono stati pubblicati anche alcuni disegni del bambino dedicati al padre.

“Un essere umano non può continuare a subire perennemente e doversi scontrare con realtà in cui ci si ritrova impotenti di fronte a ingiustizie e soprusi di ogni tipo. – si giustificava Rigamonti sul web – Da quando mio figlio è stato rapito e strappato alla mia vita, ho dovuto lottare per ben tre anni solo per poter riavere un mio diritto, quello di essere padre”. Quella di Rigamonti e del suo bambino di 8 anni è la storia tormentata di un figlio conteso tra madre e padre separati che va avanti da un tribunale all’altro, tra accuse e recriminazioni fin dai tempi in cui vivevano negli Stati Uniti, paese di origine della Calder. Rigamonti era stato accusato e poi assolto dai giudici americani per abusi e maltrattamenti nei confronti del figlio, e ne aveva ottenuto l’affidamento.

Nel 2010 invece era stata la moglie a essere denunciata per sottrazione di minore per avere portato il bambino a Los Angeles. Le accuse nei suoi confronti erano state archiviate, ma il tribunale aveva imposto il ritorno del bambino in Italia.

Poi per piccolo l’affidamento congiunto in Italia con la possibilità di vedere il padre un weekend ogni due. Poi una nuova denuncia per violenze sul figlio, accuse a cui Rigamonti si è sempre dichiarato estraneo, fornendo la sua versione dei fatti con lettere al Tribunale di Parma e diffuse in seguito anche attraverso il web e i media.

Fino alla fuga, il rientro, infine, la condanna. Come se nessuno, tra gli adulti, capisse che la sola, vera, vittima, è un bambino che con i conflitti dei genitori, dovrebbe non aver nulla a che fare e si trova sballottato come un pacco, rischiando di essere un trofeo, più che un figlio. O

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