La Soprintendenza sequestra il ‘baule di Verdi’ a Sant’Agata

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Dopo un sopralluogo effettuato il 7 maggio all’interno di Villa Verdi a Sant’Agata (PC), dove erano custoditi i 2.700 documenti che fanno parte del ‘baule’, la vicenda si arricchisce di nuovi particolati ed i toni di inaspriscono.

La Soprintendenza, dopo aver ottenuto in pochissimo tempo un decreto di sequestro del Ministero, hanno trasferito tutti i documenti dalla villa all’Archivio di Stato di Parma.

Secondo quanto sostenuto dall’Ente le modalità di conservazione sarebbero inadeguate.

Gli eredi di Giuseppe Verdi del resto sostengono che ci sarebbero state anomalie nelle modalità di sequestro e che il tutto sarebbe avvenuto con troppa fretta.

 

La storia del Baule – I tesori custoditi, anzi nascosti, in quel baule non saranno più un mistero. Finalmente potremo entrare nel cuore del processo creativo di Giuseppe Verdi, delle sue intuizioni, ripensamenti, dubbi, infine certezze. Quel baule, un robusto baule da viaggio di colore verde scuro, con borchie e lucchetti, rivestito di una carta gialla ormai sbiadita, costruito a Chicago dalla Marshall Field and Company Retail alla fine dell’Ottocento, se ne sta lì dove è sempre stato, nella villa Verdi di Sant’Agata a Villanova sull’Arda, in provincia di Piacenza. Però adesso è vuoto e le 17 cartelle che lo riempivano – 16 intestate a opere del Maestro, più una carpetta bianca, per un totale di 2700 fogli di abbozzi musicali, appunti e corrispondenza – sono state trasferite all’Archivio di Stato di Parma.

«In sei mesi, grazie a fondi già disponibili, saranno completati la descrizione analitica e il restauro dei documenti che lo richiedono, per procedere subito dopo alla digitalizzazione e alla messa a disposizione online di un materiale che il mondo degli studiosi attendeva da troppo tempo. Non era fruibile, presto lo sarà», ha detto orgogliosamente Gino Famiglietti, direttore generale per gli archivi del ministero dei Beni culturali, durante la conferenza stampa che si è tenuta a Roma nella sede dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi.

Da troppo tempo. Verdi muore nel 1901, senza figli: ne aveva avuti due dal primo matrimonio, vissuti entrambi pochi anni. Adotta la cugina Filomena, che sposa Alberto Carrara, figlio di Angiolo, il notaio di Verdi. Di generazione in generazione, ancora oggi eredi (quattro, e litigiosi tra loro) sono i Carrara Verdi, che hanno sempre custodito il baule nella villa di Sant’Agata dove Verdi ha passato gran parte della sua vita adulta, assieme alla seconda moglie Giuseppina Strepponi. Impedendo però, per ragioni mai chiarite, la conoscenza del materiale.

Un atteggiamento molto criticato, ma finora tutti i tentativi di trovare un’intesa si erano rivelati inutili. «Ancora in questi giorni abbiamo ricevuto delle diffide dagli eredi. Eppure le leggi sono chiare: sia l’articolo 9 della Costituzione, che tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione, sia il codice del ministero che ci obbliga a verificare la conservazione e la consistenza dei beni archivistici anche se in possesso dei privati, fino a prevedere il deposito coattivo. Ma non ce n’è stato bisogno, siamo addivenuti a un deposito consensuale. Ricordo, anche in previsione di casi analoghi in futuro, ad esempio per l’archivio Vasari di Arezzo, che il valore economico dei documenti è subordinato alla tutela culturale», precisa Famiglietti.

Ma perché si è atteso così a lungo? «Perché le leggi ci sono, ma occorre poi applicarle, con la dovuta fermezza. Tenendo conto che talvolta il privato si rivela più retrivo dell’amministrazione pubblica», precisa Elisabetta Arioti, sovrintendente archivistico dell’Emilia Romagna. Le prime reazioni degli studiosi sono di profonda soddisfazione: «È la fine di un paradosso, di un’anomalia intollerabile», dice Markus Engelhardt, direttore della sezione musica dell’Istituto Germanico di Roma e studioso verdiano.

Ogni cartella reca un titolo: Luisa Miller, Rigoletto, Il trovatore, La traviata, Stiffelio, Un ballo in maschera, L a forza del destino, il Libera me, Domine (dalla Messa composta dopo la morte di Rossini), Don Carlos, Aida, il suo unico Quartetto per archi, la Messa da Requiem (dedicata alla memoria di Alessandro Manzoni), Simon Boccanegra (nelle versioni del 1857 e del 1881), fino ai due ultimi capolavori, entrambi desunti da Shakespeare: Otelloe Falstaff. Infine i Quattro pezzi sacri, sorprendente, libero omaggio dell’anziano maestro alla musica sacra. Una miniera, un arco creativo lungo sessant’anni. Saranno possibili edizioni critiche attendibili, mentre l’analisi dettagliata di queste migliaia di fogli non esclude sorprese, inediti ritrovamenti.

Il decisivo sopralluogo a Villa Verdi è stato effettuato lo scorso 10 gennaio. «Le 17 cartelle erano distese sul tavolo da biliardo di Sant’Agata, pronte per venire trasferite all’archivio di Parma. L’occhio mi è caduto su un foglio dove Verdi aveva scritto: “Abbruciate tutte queste carte!”», ricorda Mauro Tosti Croce, sovrintendente archivistico del Lazio e rappresentante del ministero presso il consiglio di amministrazione dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma.

«Siamo stati individuati dal ministero come referente tecnico-scientifico di questo progetto di portata storica», commenta Nicola Sani, presidente dell’Istituto verdiano. «Una decisione che si affianca al compito affidatoci dal Mibact di promuovere l’Edizione nazionale dei carteggi e dei documenti verdiani». Imminente l’uscita del primo volume, dedicato alla corrispondenza tra Verdi e l’amico Giuseppe Piroli, senatore del Regno d’Italia: illuminante per comprendere come, dopo gli entusiasmi risorgimentali, nel compositore prevalga il disincanto, se non l’amarezza. La conoscenza di Verdi continua a progredire. Un baule è stato aperto, un pesante velo d’ombra è stato sollevato. Finalmente.

 

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