Vigili nelle scuole- Parlano i ragazzi del Gus dopo le polemiche: “Siamo uguali, ma con storie diverse”

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Dopo le polemiche per il servizio vigili davanti alle scuole, parlano i ragazzi richiedenti asilo oggetto di scontro.

E’ stato avviato infatti dal Comune di Parma l’inserimento di ragazzi richiedenti asilo nel servizio volontario di Auser, per la vigilanza davanti alle scuole elementari di Parma. Un progetto di cui si era iniziato a parlare da oltre un anno e che si è avviato solo questo mese in via sperimentale, prima della chiusura delle scuole. Per poi riprendere a settembre con il nuovo anno scolastico. La notizia, recente, ha scosso polemiche ancor prima di iniziare. Ma chi sono questi ragazzi?

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Sono 3 i giovani coinvolti che partecipano attraverso il Gus. Loro si alterneranno con altri ragazzi di Svoltare Onlus e saranno davanti ad alcune scuole, coordinati da Auser, che da anni lamenta un calo dei “nonni vigili”. I ragazzi hanno iniziato negli scorsi giorni con la scuola di via Cocconi dopo un corso di formazione con la Polizia Municipale di Parma. Il compito dei volontari sarà quello di fermare l’autobus o corriera dei bambini e consentire che entrino nel cortile scolastico in sicurezza.

Siamo contenti, non c’è niente che non faremmo” le parole di due dei volontari che prenderanno servizio. Si chiamano Ibrahima e Ajewola, hanno 25 e 36 anni, sono arrivati dal Senegal e la Nigeria. Entrambi a Parma da un anno e mezzo. Sono arrivati negli alloggi di Corcagnano dopo essere passati da Bologna e Palermo. Sbarcati in Sicilia come i tanti, sono tra i pochi che si possono definire “fortunati”, per il momento.

“Da quando siamo a Parma abbiamo fatto tante cose – spiegano – corsi di lingua, corsi con la Cgil,  corsi di giardinaggio, volontariato, pulizia dei parchi e manutenzione. Abbiamo lavorato per il concerto del 1 maggio, come steward e baristi. Abbiamo finito un corso di “confezionamento””. Partecipano anche alle iniziative di Legambiente, come quella di pulizia lungo i fiumi, laboratori con i bambini, lavori nell’orto e pulizia di spazi pubblici. Lo raccontano col sorriso di chi si sente fortunato: “Non ci fermiamo un attimo”.

Sono diversi i tirocini ed esperienze per l’inserimento nel mondo del lavoro che le associazioni come Gus permettono a questi ragazzi, arrivati qui e desiderosi di nient’altro che un lavoro “normale”.  Si fanno capire bene, Ibrahima e Ajewola, che non pretendono chissà quale favoreggiamento, “accettiamo qualsiasi cosa”, ripetono.

Ajewola era un insegnante di inglese in Nigeria, la sua patria, poi ha lavorato due anni sempre come maestro in Libia. Ma scoppia la guerra, il governo si rovescia. Gheddafi muore. Sorge il caos. Sia per Ibrahima che Ajewola, due stranieri in terra libica, non si può più vivere lì, devono scappare e la tratta più “sicura” è quella lungo oltre trecento miglia di mare verso l’Italia. Anche se costa quasi mille euro, riescono a partire e arrivare a quella che sembra la terra della salvezza. Perchè ti hanno arrestato? “Perchè sono nero”. Ma cosa avevi fatto? “Niente, ero uno straniero in Libia e gli stranieri, caduto il governo, vengono presi per chiedergli i soldi”. Come schiavi da sfruttare, si legge infatti anche nei reportage di guerra dei giornali italiani. Preso per i suoi soldi, picchiato in carcere per 11 mesi. In quella cella subisce un colpo alla testa da provocare un grave trauma cerebrale che gli rovina la vista da un occhio. Ora  il 36enne sta cercando in Italia una terapia di recupero, ma ancora non vede bene.

“Se non vuoi morire in carcere devi pagare. Devi chiamare la tua famiglia e chiedergli i soldi, che non hanno. E quindi sono rimasto là dentro per quasi un anno. Poi un uomo mi ha aiutato a scappare. Era un anziano, si chiamava Mustafà, faceva la guardia ma mi conosceva. Avevamo lavorato insieme 2 mesi prima che mi prendessero”. E dopo cosa hai fatto? “Sono andato a casa sua, per consegnare delle cose alla famiglia, ma mi hanno arrestato ancora. Allora ho detto che lavoravo con Mustafà, lui ha pagato. Poi mi ha chiesto se volevo andarmene in Italia, e io ho detto sì. Volevo solo scappare. Non so quanto abbia pagato o cosa abbia fatto per questo. Non l’ho più sentito. Lui non voleva sapere come stavo, voleva solo mandarmi via da lì”.  “Non potevo restare in Libia, c’erano spari dappertutto!” (Ajewola imita il suono di una mitraglietta che spara in aria, e scuote la testa a occhi bassi). Perchè? “Ci sparavano per spaventarci, per farci scappare”. Poi il pensiero a quei mesi di prigionia e torture, “Sono stato rovinato per sempre”.

Pensi di ritrovare una vita in italia? “Spero”. Vuoi restare in italia? “Si, non voglio più scappare. Vorrei una casa, una famiglia”.  In Nigeria, Ajewola ha ancora una mamma, un papà e una sorella. “Non li vedo da 7 anni. Ora che sono a Parma però riesco a sentirli con regolarità al telefono”.

Ibrahima invece è più giovane, ha 25 anni, è timido, dallo sguardo curioso e attento, ma dalla voce flebile, quasi un sussurro. Arriva dal Senegal, scappato dopo che una lite tra clan familiari metteva a rischio la sua vita. Il padre è morto, ha lasciato la madre, 4 sorelle e un fratello in terra natia. “Sono scappato solo io”. Vorresti tornare? “No, dopo forse, in un futuro lontano, quando starò bene”.  Anche per lui la tappa in Libia, la ricerca in un modo o nell’altro di raccimolare i soldi per partire, poi l’arrivo difficile sulle coste sicule. Era analfabeta, Ibrahima, prima di arrivare qui. Parlava solo uno dei tanti dialetti del suo Senegal. Per lui l’istruzione è iniziata oltre i vent’anni. Ha dovuto imparare l’italiano, ma anche a scrivere.

Ora cosa sognate per il vostro futuro? “Il futuro deve cambiare perchè siamo in italia adesso e come si fa in Italia vorrei trovare un lavoro, – risponde Ajewola –  Non dobbiamo pensare che questo (il servizio di volontari con Auser)  sia un  tipo di lavoro che vogliamo, ma ci è utile”. E quindi che lavoro vorreste fare? “Io lavorerei in fabbrica” dice Ajewola, “Io, il giardiniere” segue Ibrahima. Per il 36enne il sogno oggi è quello della fabbrica, ma dagli assistenti del Gus il desiderio che sia sfruttata la sua esperienza, per lui infatti corsi professionalizzanti di inglese e “Italiano per il lavoro”, tutti i giorni, in associazione. “Ma non voglio rifiutare altri lavori, accetto tutto” ripete ancora una volta, a ribadire il concetto in modo inequivocabile, come se volesse rispondere a sentiti dire e polemiche.

Polemiche e quesiti che si sono sollevati dopo l’annuncio del servizio “vigili”. Voi cosa pensate di quello che hanno detto i contrari all’iniziativa? “Io ho pensato che sono solo pensieri e speriamo che vada tutto bene”. Qualcuno dice che forse non è sicuro lasciarvi vicino a dei bambini, i genitori  sono troppo protettivi? “Vorremmo dire che siamo uguali. Siamo stranieri ma non abbiamo qualche malattia, non vogliamo fare male a qualche bambino. Noi siamo i bambini dei nostri genitori, siamo qui, impariamo l’italiano e siamo qui per vivere con voi. Non vogliamo fare niente di male. Siamo qua per aiutarvi, per aiutare a fare dei lavori per la città, per ringraziarvi”.

L’iniziativa è lodevole ma non molto formativa. Cosa ne pensate? Sono utili per voi questi lavori? “Sì perchè, se facciamo così, adesso, nel futuro possiamo vedere che la strada è aperta. Vuol dire che la città ci ha accettato. Vogliamo vivere con voi, vogliamo sapere come si fa in Italia, come rispondere, come comportarsi. Vogliamo essere normali”.

Le persone vi guardano con diffidenza? “Non ci guardano male, ma da diversi. Ci guardano più male sull’autobus”.  Ed è proprio sull’autobus che però a essere vittime di reato sono proprio loro. E tra le ironie e le prese in giro dei presenti, i due ragazzi confessano “Ci hanno rubato quattro volte il portafoglio”.

Quando si dirigono a scuola da Corcagnano, però, tutte le mattine, c’è anche il rischio che i piani saltino e che la sfiducia cresca. Perchè? “E’ capitato che gli autisti dei trasporti pubblici non si fermassero”. Come scusa? “Abbiamo saltato tanti appuntamenti di lavoro perchè l’autobus non si è fermato. Ma succede quando siamo in tanti, più di sei o sette”. E cosa avete fatto? “Abbiamo aspettato quello dopo”. Episodi come questi, confermano gli assistenti eoperatori dell’associazione che seguono i ragazzi, spesso vengono taciuti, “non vogliono creare altri problemi”. E il primo, ironicamente, a giustificare il gesto è Ajewola: “Sono persone che lavorano, gli autisti, magari ci vedono e dicono “io non voglio problemi” e vanno avanti. Ognuno ha sue opinioni”.

Siete un po’ delusi? “Sì. Ma questo succede anche in Nigeria…”.

(Arianna Belloli)

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