Caso Bonsu: carcere per l’ex agente della “foto” Pasquale Fratantuono. Comune deve risarcire 135mila euro

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La Cassazione conferma la condana a 4 anni e mezzo di reclusione per Pasquale Fratantuono, l’ex vigile della Polizia Municipale finito nello scandalo Bonsu, ritratto nella “famosa” foto incriminante, quella che lo raffigurava in posa vicino al giovane Bonsu con un occhio pestato e la faccia dimessa. Fratantuono è il vigile che aveva scritto “Emanuel Negro” sulla busta consegnata ai genitori venuti a prendere il ragazzo al comando della Polizia Municipale.

Condannato anche il Comune di Parma, la Cassazione ha infatti confermato il verdetto dell’Appello Bis emesso nel 2017 a Bologna che condannava l’ente a risarcire Bonsu con 135 mila euro. Il Comune aveva tentato il ricorso ma a nulla sono valse le difese.

 Emanuel Bonsu, giovane studente ghanese, fu scambiato il 28 settembre 2008 per uno spacciatore nel Parco Falcone e Borsellino, arrestato da un gruppo di vigili, accompagnato al comando e pestato, poi rimandato a casa con un occhio emaciato e una frattura alla parete orbitale. Il blitz della municipale contro la droga venne poi cercato di tenere coperto con una serie di falsi verbali.

Coinvolti, a vario titolo, otto agenti della municipale: la condanna più pesante per Pasquale Fratantuono, 4 anni e 6 mesi, oltre 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. La sua colpa, la “foto-trofeo” in cui compare Bonsu con un occhio nero e, accanto, il vigile con un foglio riportante la scritta “Emanuel negro”. Tre anni all’ex vicecomandante Simona Fabbri e all’ispettore Stefania Spotti, due anni e nove mesi a Mirko Cremonini. Un mese in meno per Andrea Sinisi, Marco De Blasi e Giorgio Albertini. Condannati tutti in via definitiva nessuno andra in carcere tranne Fratantuono. Gli altri agenti coinvolti hanno ricevuto pena sospesa o condanna sotto i tre anni.

L’agente Graziano Cicinato è l’unico invece che esce incolume da tutti i capi di accusa. Era già stato assolto in via definitiva dall’accusa di sequestro di persona per non aver commesso il fatto e dall’imputazione di calunnia. Ora l’avvocato si è visto riconoscere la richiesta di innocenza piena, anche per la violenza privata prescritta.

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