Processo Aemilia: “Una holding criminale. Qui ‘ndrangheta muta profilo e metodi”

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Una holding criminale, una multinazionale del delitto. Così i giudici della Corte di Appello di Bologna definiscono l’associazione ‘ndranghetistica al centro del processo ‘Aemilia’ nelle 1.400 pagine della sentenza in abbreviato, che aveva confermato in gran parte la decisione di primo grado per 60 imputati, con condanne fino a 15 anni.

“Il progressivo innalzamento di livello dell’associazione – si legge – si rendeva ancora più evidente con il sempre più ampio e professionale inserimento dei sodali nel mondo degli affari sino a condurre alla formazione di una vera e propria holding criminale di rilievo internazionale”. In cui “lo spietato e brutale sistema di approccio degli anni ’90” cede il posto ad uno “più sottile”, con metodi ‘mascherati’ sotto l’apparenza di un’attività imprenditoriale attiva in vari settori e “a tutto campo” nel mondo dell’edilizia, dei trasporti, dei rifiuti e movimento terra, dei quali il sodalizio calabro-emiliano assumeva in breve tempo il sostanziale monopolio”.

La piovra cambia profilo genetico, muta in nuove forme e si adatta alle nuove tecnologie e metodi. L’ Appello di Bologna conferma le decisioni del gup per 60 imputati giudicati il rito abbreviato. Tra le posizioni modificate c’era quella dell’ex consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani, prima assolto e poi condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Per i giudici, Pagliani costituiva un tassello essenziale per l’esecuzione del programma criminale del sodalizio operante in Emilia.

I giudici tracciano anche il profilo dell’organizzazione che in Emilia “si muove in modo diverso rispetto alle regole tradizionali, senza necessità di ricorrere, almeno apparentemente, a riti e formule di affiliazione” ma per agire “necessita del supporto tecnico e dell’appoggio operativo di commercialisti, fiscalisti, uomini delle forze dell’ordine, giornalisti e rappresentanti della politica locale”. Una “borghesia mafiosa esistente al nord, composta da imprenditori, liberi professionisti e politici, che fa affari con le cosche, ricercandone addirittura il contatto in ragione delle ampie opportunità offerte dall’appoggio dell’organizzazione” dietro mazzette ed estorsioni. Una organizzazione criminale in grado operare sempre più a 360 gradi, con “sorprendente abilità mimetica per meglio infiltrarsi nel tessuto economico imprenditoriale sano della regione” e che agiva in parziale autonomia rispetto ai boss calabresi anche se non era il boss in emilia, Nicolino Grande Aracri, su cui dipendeva “l’ideazione o la decisione di quali imprese assoggettare in Emilia né di quali occasioni economiche sfruttare o creare”.

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  1. SENTENZA APPELLO AEMILIA. RAINIERI (LN): “CONTRO LE MAFIE È NECESSARIA UN’AZIONE PIÙ INCISIVA DA PARTE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA”

    “Per creare i necessari anticorpi alle infiltrazioni mafiose sul territorio regionale occorrerebbe un’azione più solerte ed incisiva da parte delle varie amministrazioni locali e della Regione Emilia-Romagna in particolare, che dovrebbe proporre e guidare le varie iniziative. Invece, dopo tanti proclami culminati nell’ottobre 2016 con l’approvazione della nuova legge regionale sulla promozione della legalità, sembra che il Presidente Bonaccini e i suoi assessori non guardino più con la necessaria attenzione a questa materia”. Queste le parole con le quali il Vice Presidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna ed esponente della Lega nord, Fabio Rainieri, è tornato a parlare di criminalità organizzata in Emilia-Romagna a seguito della pubblicazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna sul processo Aemilia.

    “Quanto scritto nella sentenza dei giudici della Corte d’Appello per cui vi sarebbe una borghesia mafiosa del nord che fa affari con le cosche e che imprenditori, commercialisti, politici e giornalisti cercano il contatto in ragione delle ampie opportunità offerte dall’appoggio dell’organizzazione criminale, è l’ennesima attestazione che anche l’Emilia è inquinata dalla mafia e specificamente, per quanto emerge dalle più importanti inchieste giudiziarie in corso, dalla ‘ndrangheta – ha proseguito il consigliere regionale leghista – La Giunta regionale guidata dal PD non sembra però preoccuparsene più di tanto forse perché ancora convinta, con buona dose di supponenza, che basta dirsi di sinistra per essere contro la mafia. Ma la storia insegna che la mafia non la si combatte a parole ma con i fatti. E qui di fatti, a parte la costituzione di parte civile nel processo Aemilia, se ne stanno vedendo pochi, a partire dalla mancata operatività della Consulta regionale per la legalità alla quale la legge regionale sulla promozione della legalità approvata ormai da un anno e mezzo, attribuisce funzioni conoscitive, propositive e consultive per le politiche di contrasto alla criminalità organizzata. Nell’ottobre del 2016 come Gruppo Lega nord ci eravamo astenuti nel votare tale legge proprio perché andava incontro, seppur parzialmente, alla nostra reiterata richiesta di istituire una commissione regionale antimafia. Va inoltre detto che l’istituzione e l’operatività di una simile commissione in tutte le Regioni italiane è stata sollecitata, lo scorso ottobre in una riunione a Roma con tutti i Presidenti delle Assemblee regionali, dalla Presidente della commissione nazionale antimafia Rosy Bindi. Si vede però che Bonaccini su questo argomento non ci sente e preferisce fermarsi ai proclami”.

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