Terrorismo – Espulso egiziano appena uscito da via Burla: voleva compiere “un’azione eclatante“

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Sayed Fayek Shebl Ahmed è un ex mujaheddin egiziano di 53 anni che ha due figli: il 23enne Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed è l’orgoglio della famiglia perchè combatte in Medio Oriente; il 22enne Hamza «è un cane che è fidanzato con una sporca italiana» e vuole vivere alla occidentale.

Sono alcuni dei passaggi che emergono nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal tribunale di Milano nei confronti del padre e del figlio, attualmente foreign fighter in Siria, con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo. Per la madre, Halima, è stata disposta l’espulsione per motivi di sicurezza pubblica.
Sempre oggi è stata disposta l’espulsione anche di due cugini macedoni, di 43 e 45 che vivevano in provincia di Trento, perchè ritenuti seguaci della jihad.

E pure di un 31enne egiziano appena liberato dal carcere di Parma. L’uomo, informa il Viminale, aveva svolto un’attività di proselitismo in carcere, distribuendo proclami jihadisti che inneggiavano alla ‘conquista di Roma” da parte dell’Isis e, «alimentato da sentimenti di odio verso l’Italia, ha esternato l’intenzione di compiere “un’azione eclatante” una volta rimesso in libertà. Nel 2018 sono 5 gli espulsi, mentre dal 2015 sono 242.

Nel caso dei comaschi, «abbiamo trovato situazioni di tanti tipi ma una famiglia così compatta nella radicalizzazione non ci era mai capitata», ha detto Claudio Ciccimarra, capo della Digos di Milano, spiegando i dettagli dell’operazione ‘Talis pater…’ iniziata nel marzo 2015 dopo una comunicazione che proprio il padre aveva riferito alla Digos di Como (vivono nel vicino comune di Fenegrò) per depistare le eventuali indagini sulla famiglia. Un errore gravissimo che ha attirato ancor di più l’attenzione su di loro.
«Si è presentato alla polizia dicendo che già da qualche mese il figlio combatteva contro Assad – hanno spiegato gli investigatori – e che faceva da interprete italiano tra Fabrizio Pozzobon, un idraulico veneto ed ex consigliere leghista sparito dopo essere partito per la Siria e forse arruolatosi nell’Isis, e i suoi rapitori, i miliziani di Assad. Inoltre, ha raccontato di aver allontanato il ragazzo da casa per il suo stile di vita e per timore che l’altro figlio potesse seguire la stessa strada». Tutto falso, il figlio minore era completamente disinteressato.
«Per riuscire a inviare 200 euro mensili e mantenere il 23enne in Siria – ha spiegato il procuratore aggiunto Alberto Nobili – ha fatto enormi sacrifici economici. Dopo aver perso il lavoro da saldatore a Como si è dovuto accontentare di lavoretti saltuari. Anche la madre badante partecipava alle spese». Non avendo più soldi si sono perfino fatti assegnare le offerte raccolte con la «zakat», una forma di elemosina obbligatoria per i fedeli in moschea.

Il figlio era partito dall’Italia per la Siria il 30 giugno 2014 per unirsi alla brigata «Nour Dine Al Zenki», confluita con altre formazioni jihadiste nell’organizzazione terroristica «Hayiat Tahir Ash Sham». Gruppi con una visione jihadista vicina ad Al Qaeda a cui il padre era legato. Di recente, però, il ragazzo aveva mostrato simpatie per l’Isis e questo gli è costato l’allontanamento dalla brigata. Il padre, molto imbarazzato, ha dovuto intercedere con i suoi contatti per convincerli a riprendere il figlio tra le proprie fila. Quando Saged si è ferito gravemente a causa di una mina, la madre ha accusato il marito di averlo mandato lì senza conoscere la vera situazione de Medio Oriente ma lui ha risposto che comunque sarebbe finito in carcere visto che si drogava e che la sua «intenzione era che lui andasse là per purificarsi, per diventare un essere umano».

 

 

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