2.060 cessioni di cocaina in 5 mesi, 160mila euro di ricavo: in manette “impresa” albanese dello spaccio di “coca”

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Maxi operazione anti spaccio che ha portato all’arresto di quattro spacciatori, alla denuncia  di altri due per spaccio e di tre persone per riciclaggio e favoreggiamento. Si tratta di una banda di albanesi, tutta proveniente dallo stesso paese d’origine: si occupavano di gestire il traffico di cocaina nella città di Parma.

Il “capobanda” era K.A. di 42 anni, una sorta di “imprenditore della coca”. Secondo la ricostruzione della Procura, PM Amara prima, Ausiello poi, era lui a gestire la manovalanza di giovani pusher provenienti dall’Albania: ragazzi che venivano portati in Italia con visto turistico e avviati all’attività di smercio in strada.

Si comportava come una sorta di datore di lavoro, gli trovava l’alloggio, avendone tre in disponibilità, grazie ad un prestanome, un albanese regolare sul territorio, incensurato, titolare di contratti di affitto in Via Cenni, in Via Pecchioni e in Via Zarotto, dava le direttive agli ‘operai’ della droga che si muovevano in bicicletta per consegnare ai tanti clienti, molti dei quali italiani, oppure li ricevevano a domicilio.

Le indagini hanno permesso di verificare, nel periodo tra il novembre del 2016 e il marzo del 2017 ben 2060 cessioni, che hanno portato ad un giro di affari di oltre 160 mila euro. Vendeva cocaina di qualità, si era fatto la nomea di averla buona, e chiedeva 80 euro al grammo.

Il denaro, guadagnato grazie allo spaccio, non rimaneva in Italia ma veniva trasferito, utilizzando strumenti come i Money Transfer e i Western Union in Albania: qui K.A. si stava costruendo una grande villa. 

K.A. era un frequentatore abituale di un noto bar di Via Emilia Est: qui amava bere brandy “Stravecchio” fin dalle prime ore della mattina, raccontando alle bariste della grande casa che stava costruendo in Albania, di cercare una donna delle pulizie, intrattendendole anche con battute e convivialità.

In alcuni casi erano gli stessi genitori a spingere per l’arrivo dei figli: dopo i tre mesi di visto ritornavano a casa. In questo periodo lavoravano per lui, che si comportava come un vero e proprio datore di lavoro, promettendo laudi guadagni per il lavoro “temporaneo” al permesso di soggiorno.

In alcuni casi, quando il 42enne sospettava che qualche pusher facesse la cresta sul prezzo della dose di cocaina, ha preso provvedimento, facendo subito tornare i ragazzi in patria: “Per me torneranno in Albania a mangiare letame, perché non hanno la mia fiducia” riporta una delle intercettazioni. In un altro caso ha consigliato ad un suo parente di non fare arrivare il nipote, visto i troppi rischi che si correvano.

Ma il 42enne era “uomo d’affari” senza scrupoli. Dopo l’arresto di due suoi cavallini, per esempio, queste le parole che i militari hanno intercettato: “Non me ne frega un c…o di loro. Io non ho paura di nessuno”. Sfrontato, irriverente, senza nessuna paura delle forze dell’ordine. Questo quanto emerso dalle indagini.

Nessuno, secondo l’albanese, avrebbe potuto risalire a lui. Il suo nome non compariva nel trasferimento del denaro, lui non si occupava di spacciare in strada, non era lui che andava a prendere all’aeroporto i ragazzi. Non rintracciabile quindi, tranne che dai Carabinieri, risaliti a lui solo dopo un lungo lavoro.

In carcere, oltre a K.A., tre “cavallini”: B.F, 25 anni, T.K, 23, S.H, 26, tutti albanesi, tutti provenienti dallo stesso paese di K.A.

Altri due sono ricercati, probabilmente già rientrati in patria, tre persone sono invece state denunciate per riciclaggio (il trasferimento del denaro in Albania) e favoreggiamento: uno di essi era l’intestatario del contratto di affitto degli appartamenti.

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