Furti nei negozi: peggio di Parma solo Agrigento

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Adolescenti e giovani adulti che si mettono in tasca lampadine o bulloni e a volte portachiavi e chiavette Usb; ragazze o donne che infilano in borsa profumi o piccola pelletteria. Professori universitari che fanno “cadere” nelle loro cartelle libri più o meno costosi; suore che non resistono alla tentazione di un rossetto. Ma anche ladri professionisti che usano borse “schermate” e, sempre più spesso, piccole bande di criminali che organizzano furti su commissione, magari notturni, nei negozi del lusso.

È variegato e riserva molte sorprese il panorama delle “differenze inventariali”, cioè la merce che sparisce dai punti vendita. La causa principale è il taccheggio, i furti compiuti da esterni, ma in piccola parte sono coinvolti anche dipendenti infedeli e fornitori. Sono perdite importanti: nel 2016 le differenze inventariali hanno inciso per l’1,1% sul fatturato delle aziende del retail italiane, percentuale che si traduce in 2,3 miliardi di euro. Il fenomeno interessa l’abbigliamento, le calzature, le profumerie, ma anche, ovviamente, la gdo (supermercati e ipermercati), i negozi del fai-da-te e persino le stazioni di servizio. A raccogliere e analizzare i dati è stato Crime&Tech (www.crimetech.it), spin off dell’università Cattolica di Milano, in collaborazione con Checkpoint, azienda specializzata in sistemi antitaccheggio e sicurezza in genere, e Laboratorio per la sicurezza, associazione di security manager guidata da Giuseppe Mastromattei, responsabile sicurezza della catena H&M.

«Per 14 anni abbiamo curato il Barometro mondiale dei furti nel retail. L’ultimo lo presentammo circa due anni fa (si veda Moda24 del 6 novembre 2015, ndr). Poi decidemmo di trovare nuovi partner per arrivare a uno studio concentrato sull’Italia e che avesse una visione più ampia del fenomeno», spiega Alberto Corradini, country manager Italia di Checkpoint Systems. La scelta dei ricercatori in criminologia della Cattolica ha permesso un approccio più scientifico e “neutrale”, mentre l’apporto di professionisti della sicurezza di aziende retail di ogni tipo è stato fondamentale per arricchire la ricerca di esperienze dirette, diversi punti di vistae casi concreti.

«Le perdite in termini di mancate vendite sono alte, certo, e la maggior parte delle aziende, anche le Pmi, hanno capito quanto sia importante investire in sistemi di sicurezza – spiega Mastromattei –. Ma la novità degli ultimi anni è che ai tavoli sulla sicurezza ora in azienda partecipanopure i responsabili del marketing, delle risorse umane, del controllo di gestione, anche grazie alle novità tecnologiche».

Concorda Michele Riccardi, uno dei ricercatori di Crime&Lab cha ha curato il rapporto: «Le etichette anti-taccheggio ingombranti e che a volte impedivano, ad esempio, di provare con facilità un capo o una scarpa, sono quasi un ricordo. Oggi parliamo di etichette Rfid, che oltre a “suonare” se non sono state disattivate alla cassa possono fornire molte altre informazioni sui clienti. Stanno poi diffondendosi soluzioni innovative – aggiunge Riccardi – come sensori anti-taccheggio tarati per le borse schermate, software predittivi capaci di indicare in tempo reale i negozi più a rischio o le zone del punto vendita da controllare maggiormente».

Note dolenti vengono dal confronto tra Italia e altri Paesi sulla perseguibilità del taccheggio: «Nei mercati anglosassoni è sicuramente più facile e veloce denunciare e far condannare per furti in negozio. A maggior ragione quindi – spiegano pressoché all’unisono Corradini, Mastromattei e Riccardi – bisogna concentrarsi sulla prevenzione: sono investimenti con un ritorno assicurato». Ultime curiosità: la prima provincia per entità dei furti è Agrigento, subito dopo vengono Parma, Como e Siena. Per trovare un’altra provincia del sud (Brindisi) bisogna arrivare alla quinta posizione. I prodotti più rubati? Pelletteria e intimo nel settore moda, alcolici nella gdo e accessori per la telefonia nelle stazioni di servizio.

(Fonte: il Sole 24 Ore)

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