Inquinamento da cromo esavalente: il Tar condanna il Comune di Parma

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Il Tar condanna il Comune di Parma per una vicenda che si porta avanti dal 2003 sull’inquinamento da cromo esavalente in un fabbricati in via dell’Arpa, nei pressi del Barilla Center. L’amministrazione è stata condannata al risarcimento delle spese legali di 3 mila euro nei confronti di Gualtiero Savazzini, proprietario dell’edificio. Ma lo stesso proprietario che ha fatto ricorso è stato condannato per aver demolito il rudere senza il titolo abilitativo.

Nell’ottobre 2003 – scrive il Tar nella sentenza- l’Amministrazione rilevava la presenza di agenti inquinanti nei muri perimetrali dell’immobile e nel terreno circostante (superamento dei limiti di cromo totale e cromo esavalente)” e con ordinanza del 12 novembre 2003 (con l’allora sindaco Ubaldi) “vista l’impossibilità di individuare il responsabile dell’inquinamento” ordinava al proprietario “di mettere in opera gli interventi di messa in sicurezza e la elaborazione di un Piano di Caratterizzazione” (il proprietario provvedeva nel mese successivo alla messa in sicurezza di emergenza e alla bonifica del suolo adiacente al fabbricato). Con ordinanza del 17 dicembre 2007 (amministrazione Vignali) veniva disposto che il proprietario provvedesse all’esecuzione delle misure. Nel 2011 l’Amministrazione di Vignali approvava il progetto di bonifica definitivo e, preso atto dell’inerzia del proprietario, veniva ordinato a quest’ultimo di darvi esecuzione. Il proprietario Savazzini ha quindi avviato “l’intervento di bonifica trovandosi tuttavia in condizione di interrompere i lavori per non compromettere la stabilità dell’edificio”.

In data 20 marzo 2013, (oramai con l’amministrazione Pizzarotti) “viene accertato un nuovo superamento dei parametri inquinanti nelle acque di falda analizzate veniva chiesto al ricorrente di provvedere entro una settimana alle necessarie misure di messa in sicurezza mediante sistemi di pompaggio continuo della falda seguiti da campionamenti settimanali delle acque, nonché, di elaborare un Piano di Caratterizzazione del sito al fine di individuare l’estensione della contaminazione nella matrice delle acque sotterranee ed rilevare la presenza di pozzi e piezometri per un raggio di 200 m dal piezometro campionato”.

Il proprietario però, che ha poi mosso ricorso, non ha “ottemperato integralmente a tali gravosi adempimenti allegando di non essere responsabile dell’inquinamento rilevato”.

Nel 2013 il Comune, a circa 10 anni di distanza dai primi rilievi della contaminazione in questione, ha richiesto alla Provincia “l’attivazione delle procedure di individuazione del responsabile dell’inquinamento e ordinava al ricorrente di “mettere in campo entro 7 giorni dal ricevimento della presente ordinanza tempestive azioni di messa in sicurezza di emergenza (mediante pompaggi e campionamenti periodici)”. Nel 2014 è stato ordinato al proprietario di procedere alla “copertura di tutti i muri dell’edificio”, alla raccolta e smaltimento delle acque piovane e all’inibizione all’uso dei garage, alla “separazione locale e trattamento pareti” (ordinanza che si afferma essere stata ottemperata). Sempre lo stesso anno il proprietario ha dovuto sostenere i lavori di messa in sicurezza dello stabile, nei locali interrati e della centrale termica garage.

In data 8 settembre 2017 il Comune “ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica ad almeno un controinteressato e, articolava le proprie difese nel merito della questione oggetto di giudizio affermando l’infondatezza delle avverse doglianze”.

Il ricorrente, Gualtiero Savazzini, ha continuato invece ad affermare, grazie al suo avvocato Massimo Rutigliano, la “propria estraneità ai fatti causanti l’inquinamento” e fatto notare “la sua collaborazione in questi anni nonchè la gravosità degli interventi imposti in questi anni“. Inoltre, il proprietario, ha sostenuto, tra le altre motivazioni, che il Comune avrebbe immotivatamente omesso di procedere utilizzando “lo strumento dell’esecuzione diretta risolvendosi successivamente ad agire mediante un provvedimento contingibile ed urgente per ovviare al proprio inadempimento”. Motivo ritenuto fondato dal tribunale amministrativo.

Il Tar ha quindi ritenuto che “il fenomeno inquinante, già noto dall’anno 2003, veniva da ultimo rilevato a seguito di campionamento delle acque di falda avvenuto il 20 dicembre 2012, e solo a distanza di circa 3 mesi l’Amministrazione provvedeva adottando l’ordinanza oggetto del presente giudizio. Non ricorre, pertanto, quel carattere di eccezionalità ed urgenza”. Rilevato anche un difetto, quindi, di motivazione e di istruttoria oltre alla circostanza che l’Amministrazione (di Vignali e Ubaldi) poneva a proprio carico adempimenti posti dalla legge a carico del responsabile dell’inquinamento senza provvedere né all’individuazione di quest’ultimo. L’attivazione dell’obbligo legale di bonifica infatti può discendere dal riconoscimento spontaneo della responsabilità ambientale, oppure da un accertamento d’ufficio” con la conseguenza che “in mancanza del riconoscimento spontaneo della responsabilità ambientale o al di fuori di un obbligo giuridico, legale o negoziale, a bonificare, nessun soggetto può essere costretto a bonificare un’area, quand’anche ne sia il proprietario

In altra sentenza, tuttavia, il Tar ha condannato alle spese legali per 2 mila euro il ricorrente Gualtiero Savazzini per aver demolito il fabbricato in via Arpa n.4 senza averne titolo abilitativo. Il giudice ha quindi dato ragione al Comune di Parma per la sanzione di 4 mila e 500 euro che aveva emesso nei confronti del proprietario dell’edificio.

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