ParmaPress24

Deforestazione nell’Appennino emiliano: tagli sconsiderati per interesse delle imprese, ora preso di mira Monte Fuso

Tempo fa, la regione Emilia Romagna aveva stanziato 420.000 euro per pagare il taglio dei pini seccati di Lagdei e Trefiumi, nonchè per il diradamento nella pineta del passo del Ticchiano e per un altro diradamento nella faggeta sopra Valditacca, seguito da un tecnico forestale. I reali motivi di tale finanziamento, e l’utilizzo della legna tagliata, erano per noi finalizzati ad aiutare il rifornimento delle centrali a biomassa esistenti in Appennino, in cui il costo del cippato (4 euro) non è compatibile con il costo della legna (12 euro).

Tuttavia ci pareva che la strada imboccata del diradamento fosse un segnale di svolta da parte dell’autorità verso i consorzi di taglio.

Invece tutto continua come prima: taglio raso matricinato, con matricine sempre più piccole e distanti l’una dall’altra. La speculazione sulla legna continua con squadre di taglio dell’est europeo, pagati in nero e senza alcuna assicurazione.

Intere parti di montagne spogliate del loro manto boschivo: monte Fageto, monte Caio, monte Navert, monte Aguzzo, Alpe di Succiso ed ora monte Faino e monte Fuso, nell’Appenino Est.

I tagli sono fatti con criteri industriali: massima resa nel minor tempo. Per questo motivo il taglio raso è il più adatto. Ruspe per spianare sentieri e trasformarli in carraie percorribili da macchinari e camion.

Tagli anche dove l’acclività è del 100%, pendii oltre i 45° di pendenza, dove una pioggia successiva può asportare completamente il suolo e denudare la roccia, contribuendo a creare frane e a trasformare le bombe d’acqua in alluvioni nella stessa alta montagna.

Il manto boschivo ovviamente ricresce, ma ci mette 30 anni a tornare come prima dal punto di vista paesaggistico. Le ferite come buchi di gruviera sulla montagna. Poca cosa, dicono le autorità, l’importante è che il bosco ricrescendo molto più in fretta catturi la stessa quantità di CO2 di prima. Ma non è vero.

Studi recenti ci dicono che ad un bosco sottoposto a taglio raso occorrono circa 2,5 anni per arrivare al livello di prima nell’assorbimento di CO2.

Ma non basta, altri studi hanno verificato che i rami abbandonati e morti e il suolo sconvolto procurano altre emissioni di carbonio che va sottratto alla capacità di cattura del manto boschivo. Non sono sciocchezze di ambientalisti precisini. Il manto bioschivo del nostro Appennino è l’unica forma di contenimento e di contrasto ai veleni che risalgono dalla Pianura Padana.

Dopo la denuncia fatta alla forestale dal comitato ambientale di Palanzano per i tagli sconsiderati sul Fageto ora è il turno del monte Fuso. Con tagli che vanno da quota 600 metri fino a quota 1.000. Con nuove carraie che segnano il lato sud della montagna dove prima c’erano solo sentieri. Un danno al suolo, visibile dalle foto, che provocherà colamenti di terra e frane con le prossime piogge.

Pare che la ditta che ha effettuato tale scempio sia la stessa che è stata multata per il danno al Fageto.

Giuliano Serioli

Dimitri Bonanni

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma, salvaguardia e sostenibilità del territorio locale