Siccità, in Emilia Romagna i fiumi sono morti

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È stata pubblicata da Arpae la situazione dei corsi d’acqua regionali, relativamente al deflusso minimo vitale al 21 agosto 2017.

Il verdetto è impietoso: i fiumi dell’Emilia sono morti. Non c’è acqua. La poca che scorre, è decisamente insufficiente per garantire la sopravvivenza degli ecosistemi fluviali.

Perché la poca acqua che ancora esce dalle fonti sui monti dell’Appennino viene prelevata per attività umane, nonostante un formale divieto a prelevare ancora acqua dai fiume.

Praticamente in tutte le sezioni significative dei bacini dell’Emilia-Romagna prese in considerazione i dati registrati si attestano sotto al deflusso minimo vitale.

Nel parmense, il Taro a San Secondo è profondo 1,3 metri con una portata di 1,55 metri cubi al secondo, ovvero oltre un metro sotto il deflusso minimo vitale.

L’Enza a Cedogno è alto  3 centimetri con una portata di 0,83 metri cubi al secondo, ovvero quasi nulla, 0,15 metri sotto il deflusso minimo vitale.

Si salva solo il Baganza, ma solamente per il tratto a monte: a Marzolara è fondo 0,26 metri con portata di 0,27 metri cubi al secondo, in linea con il minimo vitale, peccato che da Marzolara in giù di acqua non ce ne sia proprio, un deserto di pietre e rovi giallastri.

In regione, le situazioni peggiori sono quelle del Sillaro e del Reno, nel bolognese. L’Idice a Sesto Imolese è 6,98 metri sotto il flusso minimo vitale. L’Idice in località Castenaso è 5,61 metri sotto il minimo vitale.

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