La migliore amica e la madre di Gabriela: “Suicidio di Turco non è giustizia”

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La chiameremo Cecilia, in rispetto di quel rigoroso anonimato che ci chiese mesi fa, quando raccontava il dramma della morte della sua migliore amica, Gabriela Altamirano.

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Risponde al telefono con un filo di voce, “ho appena saputo” – sussurra, senza lasciare nemmeno il tempo di domandare. Chiara l’allusione al suicidio di Samuele Turco, avvenuto in carcere martedì sera, il 25 luglio, a 7 mesi di distanza dal trucido omicidio.

Nella morte non c’è giustizia” – premette.

Come l’ha saputo?

Dai giornali. Da voi. Ero in pausa pranzo, ho letto su Parmapress24. Cosa ho pensato? Io sono profondamente religiosa, nella morte non c’è giustizia. Mai. Nemmeno nel togliersi la vita. E nulla ci ridarà Gabriela”.

Per chi è il suo primo pensiero?

“Per il figlio di Turco. Come si chiama? Ah si, Alessio. Salvatelo, qualcuno lo salvi. Sennò si ammazza anche lui. E nessuna morte compenserà quelle già avvenute. Nessuno ci ridà Gabriela” – singhiozza.

Ha più sentito le figlie di Gabriela?

Si, ma poco. Il dolore ci ha diviso, rischiavamo di vivere in quello, nel passato,  invece di andare avanti. Ero legata alla figlia maggiore, ma…. Come penso prenderanno questa notizia? Come una liberazione, una parziale giustizia. Quest’uomo era entrato in casa loro come un padre, è stato con loro, in mezzo a loro…poi ha mandato in giro le foto intime con la madre, della madre, se lei avesse 20 anni e vedesse sua madre nuda con un ….. in bocca, in una foto ricevuta su whatsapp, e poi quell’uomo si ammazzasse, come la prenderebbe?”.

In tempi non sospetti lei disse di aver paura di Turco, di essere convinta fosse stato lui.

Non mi sbagliavo.. Gabriela lo temeva. Quando ha confessato mi sono tolta un peso. Ma mi auguravo venisse messo sotto processo, subisse un giusto giudizio. Non che si ammazzasse”.

E di suo figlio Alessio cosa pensa?

“Sono madre anche io. Penso che se mai facessi una cosa del genere non costringerei mai mio figlio a seguirmi. Penso fosse affascinato da questo uomo complesso, intrigante, maledetto. Ha già portato via la Gabri, non gli si permetta di fare altro male, da morto”.

Con un filo di voce chiude la conversazione. Poi richiama.

“Scusi, mi ha chiamato la madre di Gabri. E’ senza parole, anche lei”. 

Proviamo a chiamarla, Marta Graciela Ortiz de Altamirano, a casa sua, a Rosario, in Argentina.

Risponde, anche lei in uno spagnolo che cerca di essere comprensibile.

“Lo avevamo accolto come un figlio, Samuele. Non so cosa dire, non ho parole. Mia figlia ha avuto una sepoltura cristiana, datela anche a lui”.

Non c’è rabbia, solo disperazione, dolore.

“E’ come se mia figlia morisse di nuovo. Dopo i maltrattamenti di Samuele, dopo tutto”.

Poi una preghiera, sibilata tra le lacrime. “Alessio, e le ragazze (le figlie di Gabriela, ndr). Aiutatele”

E scoppia in uno singhiozzo, un dolore senza fine e senza ira. C’è solo altra sofferenza, nella morte.

(effedivi)

 

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