Dall’Olio: “La sconfitta del PD? Fattori nazionali e locali”

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“E’ dura dovere commentare il risultato del voto delle amministrative 2017. Dopo il primo turno ero convinto che le elezioni si sarebbero giocate per una manciata di voti. Purtroppo non è stato così, il distacco tra Scarpa e Pizzarotti è stato netto, più di 10.000 voti. Su questo esito hanno influito sia fattori politici nazionali che locali” – inizia così un lungo post in cui Nicola Dall’Olio, sul proprio blog, commenta la vittoria di Federico Pizzarotti.

 A cominciare da una campagna per il ballottaggio sbagliata che ha compromesso quanto di buono era stato fatto nel primo turno. Ma partiamo prima dai dati.

Affluenza e risultati voto

L’affluenza già bassa al primo turno è calata ulteriormente al ballottaggio raggiungendo il minimo storico per le amministrative del 45,18%. Pizzarotti ha vinto con 37.157 voti, anche questo il dato elettorale più basso per un sindaco eletto. Nel 2012 ne aveva presi 51.235. Non un grande risultato per un sindaco uscente che i media nazionali indicavano ai primi posti in Italia per gradimento. Scarpa si è fermato a 27.047, 6.800 voti in meno rispetto al risultato di Bernazzoli nel 2012 (33.837). Risultato che non sarebbe comunque bastato a superare Pizzarotti anche questa volta.

Entrambi i candidati hanno incrementato il loro numero di voti tra primo e secondo turno, ma mentre Scarpa è cresciuto di soli 2000 voti, Pizzarotti, che era già in vantaggio al primo turno, ne ha aggiunti altri 10.000. L’analisi dei flussi condotta dall’Istituto Cattaneo indica che Scarpa al ballottaggio ha acquisito 6.000 nuovi voti dalle altre liste, ma ne ha persi 4.000, di cui 2.000 finiti nell’astensione e 2.000 andati a Pizzarotti. Un dato su cui riflettere e che non può essere ascritto alle tendenze nazionali.

Tendenze nazionali

Il risultato nazionale del centro-sinistra e in particolare del PD in questa tornata di elezioni amministrative è stato negativo. Si sono persi i principali centri capoluogo, con l’eccezione di Padova. In Emilia Romagna sono stati persi 6 Comuni su 6, oltre a Parma, Piacenza, Comacchio (FE), Vignola (MO), Budrio (BO) e Riccione (RN). E le liste del PD hanno ottenuto risultati molto più bassi rispetto alle elezioni politiche (per non parlare delle europee). A Parma si è toccato il minimo storico con meno del 15%.

Il PD, dopo il referendum e la scissione, appare in evidente crisi di consenso. E di identità. Allo stesso tempo, essendo al governo, viene percepito come il partito dell’establishment, di fatto “il partito”, contro cui si coagulano tutte le altre forze politiche. E quell’ampio movimento di risentimento che non ne vuole più sapere della politica e dei partiti. Che sta a casa, oppure vota contro.

Questa polarizzazione c’era stata nel 2012, c’è stata, in misura minore ma comunque significativa, nel 2017. L’indicazione della Meloni e soprattutto di Salvini di votare contro il PD ha certamente orientato l’elettorato della Lega e della destra verso Pizzarotti. Ma questo non basta per spiegare la sconfitta. Tanto più che l’analisi dei flussi elettorali già richiamati parla di un’ulteriore quota di elettorato di centrosinistra che ha votato per Pizzarotti al ballottaggio.

Così come non la spiegano i giudizi positivi sull’amministrazione uscente manifestati da alcuni sindaci PD come Merola e Nardella, che a Parma nessuno conosce, ma che certo disorientano l’elettorato. O il favore dei media nazionali che hanno pompato Pizzarotti per anni in chiave anti-Grillo e lo hanno continuato a sostenere in campagna elettorale con interviste e sondaggi come minimo compiacenti. Un fattore che era alla base del vantaggio competitivo di Pizzarotti in termini di notorietà. Ma che era conosciuto in partenza, fin dalle primarie, e che non può diventare la causa del giorno dopo.

La campagna del ballottaggio

Ciò che ha veramente inciso sull’esito finale è stata la campagna del ballottaggio. Il primo turno, dal punto di vista del risultato del candidato, è andato come auspicavamo, tenuto conto delle condizioni di partenza appena descritte. Si poteva certo avere un risultato migliore come PD e quindi come coalizione, ma l’importante era rimanere incollati a Pizzarotti stando sopra il 30%. Significava rimettere la palla al centro e giocarsi la partita al ballottaggio. E infatti in molti, nonostante i fattori nazionali di cui sopra, vedevano possibile il sorpasso. Io compreso. Purtroppo la partita è stata giocata male e alla fine l’abbiamo nettamente persa.

Dopo il primo turno bisognava proseguire con la stessa strategia comunicativa, portare Paolo Scarpa in mezzo alla gente, rinsaldare i rapporti con le tante persone e associazioni contattate, andare nei quartieri e nelle frazioni per mettere in evidenza i problemi creati dall’amministrazione Pizzarotti, promuovere proposte concrete valorizzando il grande lavoro collettivo fatto sul programma. Questa era anche la strategia condivisa con la coalizione.

Invece, per una scelta non concordata, è stato fatto l’esatto opposto. Si è voluto sfidare Pizzarotti nel campo a lui più congeniale, quello del confronto diretto, della contrapposizione, il terreno sul quale ha costruito la sua stessa fortuna politica e comunicativa. E quello meno adatto a Scarpa che non poteva per di più contare sull’esperienza e la conoscenza di un sindaco uscente.

Si sono alzati così i toni e i volumi dello scontro, senza proposte convincenti, avulse dal programma, incrinando l’immagine e la narrazione che aveva funzionato nel primo turno. Si sono mandati messaggi (come lo spaccio zero) incoerenti con il profilo stesso del candidato. E così facendo non si è più trovato il tempo per stare tra le persone e nei quartieri. Per evidenziare con concretezza ciò che non andava e dare soluzioni praticabili che dessero il senso di una reale alternativa, della prospettiva di un governo della città migliore e più attento ai cittadini rispetto a quello degli ultimi 5 anni.

Non si è inoltre mai dato l’idea che con Scarpa e attorno a Scarpa c’era una squadra, c’era un ampio gruppo di persone con competenze, entusiasmo, voglia di mettersi a servizio della città. Mentre Pizzarotti, pur nel suo isolamento, presentava la nuova-vecchia Giunta, dando quantomeno l’idea di una pronta operatività.

Il risultato è che la spinta positiva del primo turno, che se ben cavalcata poteva portare al sorpasso nonostante il contesto non certo facile, si è presto spenta trasformandosi in una corrente opposta, quella che poi ha portato alla sconfitta. Tra una proposta rimasta generica e divenuta all’improvviso distonica, priva di una squadra di governo riconoscibile, e un sindaco uscente che, pur non suscitando ampio consenso, garantiva nel bene e nel male operatività e continuità amministrativa, i parmigiani hanno scelto il secondo. Con questo non voglio sottovalutare le tendenze negative di ordine nazionale, né sottrarmi alle mie responsabilità: per la scelta fatta in origine alle primarie e per non avere saputo impedire la deriva del ballottaggio.

Da dove ripartire

Per quanto sia duro rialzarsi bisogna sempre ripartire. Innanzitutto dalle persone che si sono attivate in questa campagna elettorale. Decine, centinaia che hanno messo a disposizione il loro tempo, le loro energie, le loro idee. Andando ogni giorno nelle strade e nei mercati, candidandosi al Consiglio comunale, lavorando sul programma. Dopo ogni elezione si dice sempre che è un patrimonio che non va disperso. E’ davvero venuto il tempo di evitare che questo accada: l’impegno politico e civile, a servizio della propria città, è una risorsa preziosa che va coltivata e propagata in una fase di grande disinteresse per le questioni della cosa pubblica e di generale risentimento nei riguardi della politica, quando in realtà la politica siamo noi e dipende da noi indirizzarla nella direzione dell’interesse comune.

Ci sono poi i gruppi consiliari della coalizione, che saranno impegnati a fare opposizione, ad incalzare un’amministrazione slegata da qualsiasi riferimento ideologico e ancoraggio nazionale e proprio per questo ancora più condizionabile da interessi e poteri locali. Opportunismo e trasformismo erano già il tratto distintivo del primo Pizzarotti. Rischiano di esserlo molto di più nel secondo mandato che non ha alcun reale indirizzo politico. Bisognerà vigilare che non vi siano derive e non prosegua la dismissione di patrimonio e di servizi del Comune che abbiamo visto in questi ultimi due anni: asili, TEP, IREN, da ultimo Fiere, sono vicende che parlano da sole. Ma soprattutto i gruppi consiliari devono essere i terminali di ampie reti di militanti e di cittadini per costruire fin da oggi una reale alternativa di governo che parta dall’ascolto e dai bisogni delle persone. Senza un investimento di lungo periodo, un fronte coeso e una proposta vera e condivisa per la città si rischia solo di replicare un film ormai visto troppe volte.

 

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