Stupro di gruppo in Via Testi: sentiti i testimoni. Gli amici: “Claudia è una vittima”

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Colorati, vivaci, giovani, giovanissimi. Il primo piano del Tribunale lunedì e martedì si è vestito da Centro sociale, raccogliendo parte dei testimoni dell’orrendo stupro di gruppo avvenuto nell’allora sede del Collettivo Antifascista nel settembre 2010.

Nella seconda mattinata di udienze, il processo è stato rinviato al 24 febbraio: verranno sentiti alcuni testimoni della difesa.

Se ormai la storia di Claudia è arcinota, tutto da scrivere è il futuro degli imputati: Francesco Cavalca, 25 anni e Francesco Concari, 29 anni, parmigiani, e Valerio Pucci, 24 anni, romano, gravati ora, dopo una lunga detenzione domiciliare, dal divieto di avvicinamento alla vittima. 

La macchina della giustizia, partita in colpevole ritardo, per fare il suo corso ha previsto la sfilata di amici, simpatizzanti, pseudo attivisti davanti al magistrato  per raccontare la loro versione.

Maschi e femmine, qualcuno addobbato da pseudo-intellettuale, qualcuno in abiti “normali”, altri, i più, in look distintivo. Pantaloni militari, borchie, camice aperte su improbabili magliette che hanno lasciato il posto a maglioni scollo a V prima dell’accesso all’aula per deporre. E poi, cappellini da baseball, cinturoni, moschettoni, anfibi da tradizione punk.

Creste tra i capelli, decolorazioni, tinteggiature ebano, punte verdi viola o blu, tatuaggi in bella mostra, piercing ostentati a mo di scudo contro una realtà che sì, fa schifo. Veniva voglia di abbracciarli, uno a uno, partendo da quelli più “dark”, spiegargli che siamo stati anche noi giovani e ribelli, magari sbandati o anche no, e che quando impatteranno con la vita vera farà malissimo. Che un tatuaggio in faccia o sul collo è un segno per la vita, nel senso che te la condiziona, e che una lacrima disegnata sotto l’occhio rappresenta morte violenta di un congiunto o omicidio colposo, tradizionalmente tatuaggio da carcerato.

Insomma, mica ‘na robetta da piazzarsi in banca dopo la laurea in Bocconi.

Invece stanno lì, tra loro, si guardano, chiacchierano. Si chiudono a riccio. Vengono da tutta Emilia, ma anche da fuori. Qualcuno parla. Le ragazze devono essere le Romatic Punx, quelle che sul blog “abbatto i muri” difendono a spada tratta Claudia. Sono qui solo per portare solidarietà e vicinanza, ma lei non c’è.

C.S., P.T., G.G., visi noti, del collettivo Art Lab di Parma, che la scorsa settimana era insorto contro chi giudicava Claudia “un’infame”. “Ma non scriva i nostri nomi” – chiedono. “Ok”. E che posso scrivere. Si guardano. Per un attimo ritornano gruppo. Lo stesso che per anni si è girato il video dello stupro senza sognarsi di sporgere denuncia. Senza capire che una violenza non trova redenzione solo perché viene coperta dal muro dell’omertà.

“Conoscete Claudia?” – “Si…” – voce smorzata, si guardano a vicenda. “Di vista – annuisce una ragazza – non è di Parma, veniva ogni tanto, era amica di qualcuno”. Di chi? Silenzio. Si rialza il muro di omertà. E i tre imputati li conoscete? Muro di silenzio. Sguardo al pavimento. Sguardi complici. Arrivano altri due a dar manforte. “Si sono amici. Bravi ragazzi. E’ stata una ragazzata sfuggita di mano”.

Altro silenzio. Come se quel muro di omertà non si fosse mai rotto. Si avvicinano alcuni carabinieri. Stemperano: “Ma rimanete qui fino a sera?”. Ritorniamo alla carica. Avete visto il video? “Io no. Io neanche. Io si, mi è arrivato. L’ho guardato e cancellato. Perché non ho sporto denuncia? Perché sono amici…”. Ma voi conoscete i ragazzi accusati di favoreggiamento e minacce? Siete state a vostra volta minacciati? “Si, ci conosciamo tutti. Ma….”. Ma cosa? Voce bassissima. “Eravamo tutti dell’idea di non mettere nei guai i nostri amici… sono bravi ragazzi”.

Anche se uno stupro è uno stupro, la violenza non ha perdono o redenzione. “Verissimo. E siamo tutti con lei. Nessuno di noi l’ha accusata di essere un’infame. E’ una vittima”.  Si allontanano, parlottano. Il branco. Il gruppo che si sostiene e nutre di se stesso. Che si autoprotegge. Ma chi lo proteggerà dalla giustizia, dalla vera vita, dal mondo di fuori?

Oggi più di 15 testimoni hanno deposto davanti al giudice nell’aula collegiale del Tribunale di Parma. Chissà se davanti al magistrato hanno abbandonato il muro di omertà. L’udienza, a porte chiuse, i ha impedito di scoprirlo. Domani un’altra sessione di ascolti.

Lontana è ancora la parola fine a questa storia che macchia Parma di vergogna.

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