Imprese e patrimoni confiscati alle mafie: le criticità in Emilia Romagna

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Freschi freschi – aggiornati ad aprile 2016 – sono valutabili i dati di un dossier curato dalla Presidenza del Consiglio in collaborazione con la società pubblica “studiaresviluppo”, che completano il quadro dei “beni confiscati alla criminalità in Emilia Romagna”.
Dati che, va ben precisato, non inglobano e quindi sono al netto della notevole quantità dei beni patrimoniali già confiscati con la sentenza del 22 aprile scorso, riguardante la parte del maxiprocesso Aemilia con lo stralcio dei riti abbreviati. Maxi confische – come già avevamo evidenziato – che colpiscono patrimoni ‘ndranghetisti residenti nelle province di PR-RE-MO, nella misura di ben 30 imprese/società, 18 terreni, 85 unità immobiliari abitabili.
Questi patrimoni confiscati con l’avvio di Aemilia, si aggiungono perciò al resto del quadro emiliano romagnolo, aggiornato al mese appena scorso e che in sintesi riassumeremo.
Non scordando mai però che tratteremo solamente della pur notevole entità dei patrimoni già sottoposti a confisca, ben sapendo che questi dati non conteggiano la ben maggiore entità dei beni sequestrati alle mafie ed in attesa della confisca definitiva dopo lunghi anni: all’agosto 2015 solo in questa regione erano 696 i beni oggetto di sequestro!

a)- Patrimoni immobiliari confiscati in Emilia Romagna.
La foto odierna – come già detto, senza la grossa quota portata da Aemilia – ne conta 248, situati in 48 Comuni della regione a partire dai 42 di Alseno di PC, poi i 20 di Forlì ed al terzo posto coi 17 di Nonantola nel modenese.
Patrimoni le cui principali tipologie sono così descritte: 35% appartamenti, 15% box/garage, 12% terreni agricoli, ecc…
Logica sociale, istituzionale e giuridica vorrebbe che un patrimonio confiscato fosse, all’indomani, prontamente destinato ad un logico e necessario riutilizzo pubblico o sociale.
Purtroppo non è così e la “credibilità” dell’azione antimafia nel colpire le cosche al cuore patrimoniale, subisce contraccolpi.
E’ così anche in Emilia Romagna.
Dei 248 beni immobili, solo 81 – il 32% – ad oggi sono “destinati” ad un recupero di utilità pubblica, in maggioranza a beneficio dei Municipi e poi Enti pubblici o sedi per il volontariato sociale.
Come sempre, le medie numeriche nascondono le specificità delle realtà locali.
Infatti, se Forlì/Cesena vedono il picco positivo dell’85% degli immobili confiscati già consegnati al riutilizzo sociale – con 27 provvedimenti di assegnazione – non sfugge il peggior picco negativo su Modena, con 0 (zero) assegnazioni dei 26 immobili confiscati e disponibili, e su Reggio ancora con 0 su 19.
Per capire meglio si tratta, ad esempio nel caso modenese, di 15 unità immobiliari, 9 terreni e 2 non definiti situati a Nonantola (17) Formigine ( 4 ) Maranello ( 2 ) Castelfranco ( 2 ) Modena (1).
Patrimoni immobiliari perciò tuttora non destinati al necessario riutilizzo nel territorio e nel limbo di attesa, in gestione dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati.

b)- Ancor più preoccupante ed incerto il quadro delle aziende confiscate. Perché anche in Emilia Romagna la mappatura si complica per il fatto che delle 52 imprese sotto confisca, sono solo 13 quelle già destinate a future gestioni, mentre sono 27 – il 53% – tuttora in “gestione” provvisoria della Agenzia Nazionale, ed infine ben altre 12 – il 23% – “uscite dalla gestione” ovvero in liquidazione o fallite!
Di queste 52 imprese emiliane che lavoravano con le mafie, la forma giuridica largamente preferita per 42 era la S.r.l.; con la S.p.a. in 5; con altre forme in 4 ed 1 coop fasulla nel modenese.
I settori prevalenti di attività reale e/o di copertura erano i servizi alle imprese, costruzioni, alberghiero e commercio. Un “nota bene” che spicca nel report e andrà meglio capito, dice che “…oltre il 63% delle aziende confiscate in Campania, ricade nelle province di Bologna e Modena”!
Le 52 imprese emiliane sono invece distribuite prevalentemente a Bologna con 24, Modena con 9, Rimini con 6.
Un panorama regionale aggiornato che, incrociando l’entità dei beni, patrimoni ed imprese sequestrate e poi confiscate, si avvicina all’incredibile quota 1.500.

Un quadro pesante e preoccupante, sopratutto per la grande incertezza sulla tenuta e sopravvivenza delle aziende sequestrate/confiscate, inspiegabilmente per troppo tempo in attesa prima di una assegnazione con gestione certa e con prospettive per l’attività svolta ed i lavoratori occupati.
Proprio da qui è partita l’iniziativa Cgil per la presentazione della legge di iniziativa popolare “io riattivo il lavoro”. E’ evidente l’urgenza di correggere norme e responsabilità gestionali, avvicinandole ai territori interessati, coinvolgendo istituzioni locali, associazioni imprenditoriali e sindacato.
Va perciò accelerato il percorso parlamentare della riforma del Codice antimafia fermo al Senato.
In tal senso assume particolare rilievo il confronto con la regione Emilia Romagna, per definire il testo Unico su appalti e legalità che prevede uno specifico passaggio sulle imprese sequestrate/confiscate e la previsione di un protocollo specifico con i Tribunali, sul modello già avviato in Lazio e Lombardia.
Vanno inoltre attivati i tavoli previsti in ogni Prefettura, per monitorare in tempi rapidi le consistenze e l’utilizzabilità dei patrimoni confiscati e disponibili in ogni provincia.

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