Aemilia, le confessioni di Giglio: “Aziende, fallimenti, soldi”

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Aziende nate a debito, che possono vantare fatturati altissimi per ottenere finanziamenti e forniture. Ma a quel punto vengono fatte fallire, trascinando spesso con sé ignari fornitori che non vedranno un soldo di quanto venduto.

Il meccanismo lo spiega con semplicità il pentito Giuseppe Giglio nelle sue deposizioni davanti ai pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi. La sua credibilità è in corso di verifica da parte della procura. Il suo racconto mostra palesemente come la criminalità organizzata alterino pesantemente l’economia emiliana, creando danni ingentissimi ad aziende sane.

Giglio spiega: «Avevo bisogno dell’accesso al credito. Quindi istituti bancari, leasing e quant’altro». L’azienda che utilizza è la Comit. «L’avevo portata a fatturare, diciamo, un fatturato di dieci milioni, anzi eravamo in lire prima, facevamo un fatturato di sette, ottocento milioni al mese, quindi fatturato di sei, sette miliardi l’anno, prima che passassimo in euro. Ed è iniziata a entrare nell’accesso al credito con diverse centinaia di milioni di affidamento… centinaia di milioni».

Ovviamente il fatturato era costruito anche con le false fatturazioni, che non corrispondevano affatto con la reale attività dell’azienda, che si occupava di movimento terra. Ma in questo modo Giglio poteva ottenere l’accesso al credito e ai leasing per comprare i camion.

Quando le cose si mettono male, poi, le aziende vengono fatte fallire, lasciando scoperti nelle banche e, soprattutto, coi fornitori.

«Io decido di fare affondare, fare fallire la Comit Srl e la Vimoter», spiega Giglio. A quel punto, si sparge la voce e le aziende cominciano a interessare anche ad altri. Come gli Arena, potente famiglia di ‘ndrangheta della zona di Isola Capo Rizzuto. A lui si presenta un personaggio, Paolo Pelaggi, già condannato nell’operazione Point Break di Modena, che utilizza le due aziende di Giglio – secondo quanto da lui dichiarato – per recuperare soldi degli Arena che aveva perduto. L’obiettivo è «riuscire ad acquistare più materiale possibile nella truffa che si stava facendo» e «cercare di prendere dei crediti delle banche, di mettere in piedi qualche leasing per magari beni strumentali che non esistevano». Le aziende in questo modo sono sovraindebitate e possono fallire, senza pagare i fornitori e nemmeno le banche. Prima della crisi, infatti, accedere al credito era molto semplice, come ammette lo stesso Giglio: «Come lei saprà all’epoca non servivano le garanzie per dare gli affidamenti». Pelaggi, poi, spiega Giglio, per finire di pagare i debiti con gli Arena comincia con le ‘frodi carosello’ attraverso la sua azienda, la Point One, di Maranello, al centro dell’indagine Point Break.

«Nel momento in cui è stato arrestato il Pelaggi, cioè la scopertura dei conti, erano tutti scoperti – spiega Giglio – I soldi non sono stati rintracciati. Ora adesso non voglio dire che Pelaggi abbia preso tutto, può essere pure che qualche cifra sia rimasta incastrata da qualche parte nelle operazioni di giro, diciamo. Ma non penso che un milione e trecentomila euro sia rimasto incastrato. Cioè sicuramente una parte di quei soldi sono usciti e sono danti lì agli Arena». (ASKANEWS)

 

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