Mafie in città, cosa succede a Parma?

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Si chiama Farao Marincola dai cognomi dei suoi presunti capi, Cataldo Marincola e Giuseppe e Silvio Farao. E’ la cosca originaria di Cirò Marina in provincia di Crotone che colonizza la città ducale dell’Emilia Romagna grazie al facoltoso imprenditore Franco Gigliotti, accusato di appartenere alla ‘ndrangheta.

Ma dietro i Faro Marincola c’è pure la lunga mano (di gomma) di Nicolino Grande Aracri e di Alfonso Diletto, già condannato a 14 anni e due mesi nell’appello di Aemilia a Bologna.

E’ questo lo scenario che emerge dalle 1371 pagine firmate dal giudice per le indagini preliminari di Catanzaro dott. De Gregorio, che dispone 170 arresti eseguiti a gennaio 2018, nell’ambito della inchiesta Stige promossa dalla procura guidata da Nicola Gratteri.

Franco Gigliotti è facoltoso perché secondo i Pubblici Ministeri di Catanzaro possiede partecipazioni societarie in una trentina di imprese che in buona parte controlla direttamente o indirettamente: 21 in provincia di Parma, sei tra Crucoli e Cirò Marina (Crotone) e due a Milano. Il capitale sociale complessivo è di oltre due milioni di euro, quasi interamente versato in contanti.

Mentre ancora si studiano le carte di questa clamorosa vicenda parte l’operazione “Paga Globale”: 26 indagati per una vasta attività di frodi fiscali e contributive, con 100 finanzieri impegnati il 16 aprile in otto province per eseguire sette ordinanze di custodia cautelare e sequestri di beni per oltre due milioni di euro. Operazione con baricentro in provincia di Parma ma che ha toccato altre sei province: Reggio Emilia, Modena, Crotone, Roma, Napoli e Salerno. In carcere è finito l’imprenditore Luigi Sabbatino, titolare della “Nuova LS Groupe” con sede sulla tangenziale nord di Fidenza.

Il mondo dell’industria, da sempre blasonato a Parma, finisce sotto i riflettori e la comunità dei cittadini sotto shock, con due vicende complesse che svelano il forte radicamento della criminalità organizzata in provincia. Come non bastasse Aemilia.

Partiamo dall’inchiesta Stige, di cui abbiamo già parlato nell’articolo “L’Emilia sbanda”, cercando di mettere a fuoco lo stretto legame che unisce le consorterie di qua e di là dall’Enza, anche se i nomi sono diversi. Con la famiglia Grande Aracri che esercita indubbiamente, anche secondo Stige, un ruolo fondamentale di guida nella scala del potere ‘nranghetistico sia in Calabria che in Emilia.

I Farao Marincola, nella provincia di Crotone presieduta da un loro uomo finito agli arresti, sono saldamente impiantati 38 chilometri a nord di Cutro sulla costa ionica. La cosca è organicamente inserita nel sistema delle famiglie di ‘ndrangheta che compongono la cosiddetta “Provincia”, il cui preposto, cioè coordinatore e capo riconosciuto con il grado di primo inter partes, è Nicolino Grande Aracri.

E’ l’identificazione di questa struttura centrale di governo, della quale i PM di Stige svelano molti dettagli, che consente di collegare le attività parallele di Parma e Reggio Emilia, benché condotte da famiglie diverse.

I capi di imputazione di Stige raccontano infatti di attività losche coordinate dai Grande Aracri, in particolare nel settore degli appalti e sub appalti per lavori pubblici, utilizzando l’unione che fa la forza (tra famiglie) e prestanome alla guida di aziende “pulite” per accreditarsi. Nicolino è in sostanza il Presidente di un consorzio d’imprese denominato Provincia, “nella cui bacinella finivano almeno in parte i proventi delle attività  illecite” dice il PM Gratteri. Imprese che portano i nomi dei capicosca: i Trapassio a San Leonardo, gli Abruzzese di Cassano, i Megna di Papanice, i Barilari di Crotone, i Vrenna Corigliano Bonaventura, che ottengono dagli altri tramite Nicolino Grande Aracri il consenso a sostituire Giuseppe Vrenna, finito in carcere, con il nipote Luigi Bonaventura detto Gné Gné.

Nel mondo della ‘ndrangheta crotonese Nicolino Grande Aracri è insomma un po’ come la Merkel o Draghi in Europa, ai quali Mattarella chiede il consenso per affidare a Salvini o Di Maio l’incarico di governo.

Il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino racconta ad esempio che quando i Farao Marincola “volevano imporre il pane dei cirotani nei ristoranti di Cutro” fu chiesto il consenso “a mio cugino Nicolino Grande Aracri che disse di sì perché non gli interessavano le forniture del pane”.

Ancora più illuminante un conversazione del 2013 tra Giuseppe Farao e il figlio Vittorio nella sala colloqui del carcere di Padova dove il capo cosca è richiuso. Vittorio dice al padre del tentativo di una organizzazione napoletana di infilare dipendenti al nord in un cantiere controllato dalla famiglia a Parma e per risolvere la questione era dovuto intervenire uno dei capi della cosca reggiana Grande Aracri: “Hanno mandato a chiamare un cutrese, Alfonso Diletto, ‘a scimmia. Mi hanno detto che è il braccio destro di Mano di Gomma. E allora gli ho detto che io ho un padre all’ergastolo e uno zio latitante, e sono quarant’anni che comandiamo noi qua!” Come a dire: siamo brave persone.

Vittorio Farao in quella occasione tranquillizza il figlio sul fatto che Diletto sia la persona giusta per risolvere la questione: “Problemi non ce ne sono, ma tu non ti devi ficcare in queste cose, capito?”

In questo sistema a maglie strette, dove tutto era sotto controllo, operava Franco Gigliotti, nato a Crucoli in provincia di Crotone nel 1968 ed arrivato a Parma come apprendista idraulico. Al momento dell’arresto, gennaio 2018, è invece nella crème di Confindustria Parma e possiede un impero industriale, incentrato in particolare sulla meccanica di processo, che si occupa della preparazione e dell’installazione delle linee automatiche di lavorazione e imbottigliamento per i settori farmaceutico e della produzione alimentare. Gli viene addebitato un unico fatto specifico nei capi di imputazione, oltre all’appartenenza all’organizzazione mafiosa: il finanziamento della G Plast srl a Torretta di Crucoli, azienda specializzata nel recupero di materiale plastico, intestando il 70% delle quote alla sua GF Nuove Tecnologie di Parma. Ma i veri soci occulti della G Plast, secondo la procura di Catanzaro, sono personaggi eccellenti della cosca i cui nomi vanno tenuti nascosti: Giuseppe Spagnolo, Vittorio Bombardiere, Francesco e Gaetano Aloe.

E’ un malato e vecchio boss della ‘ndrangheta di Cariati, in provincia di Cosenza, Domenico Critelli detto Saragat, che prima di morire inizia a collaborare con la giustizia e inguaia Franco Gigliotti. Dice di avere incontrato nel 2014 all’ospedale di Bologna il nipote del boss Cataldo Marincola e di avere discusso con lui di un imprenditore che versava periodicamente denaro alla cosca, tramite un esattore chiamato Vito Castellano: “Era lui con altri suoi amici che lavorano a Parma perché loro a Parma vanno una volta al mese a prendere la mazzetta. Siccome là a Parma c’è uno di Torretta di Crucoli (Gigliotti) che fa dei lavori di saldatura speciale. Agli operai, come dire, per ricompensarli, gli dava i biglietti per la mensa. Cosicché i cirotani gli hanno detto: Togli la mensa a loro e i due euro della mensa ce li da mensilmente a noi”. Semplice.

Ma Gigliotti per i Pubblici Ministeri non si limita a pagare le mazzette ai cirotani: “Si è rivelato nel corso delle indagini imprenditore di riferimento della consorteria ‘ndranghetistica cirotana, finendo per esserne pienamente organico. Il ruolo di polmone finanziario ricoperto dal Gigliotti Franco in attività apparentemente lecite riconducibili al Locale di Cirò si rivela determinante anche nel settore imprenditoriale del riciclaggio di materie plastiche, gestito da Giuseppe Spagnolo con la diretta collaborazione del cognato Aloe Gaetano, figlio di Aloe Nicodemo, detto Nick, ucciso nel 1987 e fino ad allora capo indiscusso della ‘ndrangheta cirotana. Anche in questo caso, parimenti a quanto riscontrato in altri settori (commercio di prodotti da forno, prodotti vinicoli, mercato ittico, prodotti caseari ecc.), le indagini hanno dimostrato che le imprese riconducibili al sodalizio operano in un regime di sostanziale monopolio, in virtù della carica di intimidazione di Spagnolo”.

La ‘ndrangheta dunque crea le condizioni di mercato perché i suoi imprenditori possano sbaragliare la concorrenza; e loro in cambio finanziano l’organizzazione mettendo i soldi nella “bacinella” che arriva fino a Grande Aracri.

A rimetterci, come spesso accade, sono prima di tutto i lavoratori ai quali i “due euro della mensa” non vanno più in tasca perché prendono la strada per il sud, mentre a nord arriva manovalanza della famiglia (di ‘ndrangheta) a occupare i posti di lavoro in azienda.

Ma Stige, come Aemilia e come l’altra storia di truffe societarie che scuote in questi giorni Parma, ci insegna che i danni per la comunità sono ben maggiori di quei soli due euro che gridano comunque vendetta. Nell’indagine “Paga globale” sono coinvolti commercialisti, consulenti del lavoro, imprenditori. I lavoratori dipendenti figuravano assenti per malattia o inseriti nel programma di riduzione dell’orario di lavoro, pur continuando a lavorare a tempo pieno. Le buste paga così compilate consentivano grandi risparmi ai titolari d’impresa che utilizzavano anche il licenziamento e la riassunzione in altre aziende per ottenere sgravi fiscali. E lo stipendio reale veniva deciso a priori indipendentemente dai contratti di lavoro e pagato sulla base di semplici fogli di lavoro. Dice la Camera del Lavoro di Parma: “False fatturazioni, falsi certificati medici, godimento di indennità non dovute: il malcostume furbesco di imbrogliare lo Stato, cioè tutti noi, da parte di imprenditori senza scrupoli e dei loro spregiudicati consulenti, non è solo appannaggio della criminalità organizzata, come le recenti inchieste da Aemilia in avanti ci hanno rivelato, bensì un metodo ben più diffuso e trasversale, che interroga tutta la comunità sulle conseguenze di questa sconfortante deriva”.

Come minimo.

(Paolo Bonacini per il sito della CGIL di Reggio)

 

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