L’appello di una mamma: “Mio figlio bullizzato, oggi adulto con sindrome post traumatica. Genitori attenti, nessuno deve essere trattato da diverso”

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Non è una storia da libro cuore. E nemmeno con un lieto fine. Ma è una storia di ordinaria crudeltà, di bullismo, che una mamma parmigiana ha scelto di raccontare purchè sia di aiuto ad altri.

Elisa ha 53 anni, un lavoro normale, una famiglia parmigiana normale, un marito che lavora. Un figlio nato con una leggerissima displasia dell’anca. Curata male, ha portato il ragazzo a camminare zoppo, fino ad un intervento risolutore.

Ma il bullismo patito da ragazzino lo ha reso un adulto fragile. Che ora ha paura di vivere.

Dicevamo di Elisa. Lavora in banca, è abituata al confronto col pubblico, quando nasce il figlio ha poco più di 30 anni, da un lustro è sposata, il bambino è desiderato. Apparentemente sano ma col tempo fatica a camminare, inizialmente parlano di “piede piatto”. Mesi, anni, di divaricatore. Quando è ora di iniziare con l’asilo, il bimbo cammina a fatica. Gattona, zoppica.

Fatica a giocare con gli altri, non riesce a correre, a calcio nel campetto fa solo il portiere, la diagnosi è una lieve displasia dell’anca.

Si tenta con una scarpa “rialzata”, spese su spese nelle sanitarie per scarpette e solette. Ma il problem resta, con i dolori alla schiena e la difficoltà a interagire che diventa, man mano, difficoltà a interfacciarsi con gli altri.

I bambini diventano ragazzini, mentre, “lui diventava sempre più silezioso” racconta Elisa, con una voce piena d’amore e rammarico. “Quando sono iniziate le elementari – continua la mamma – il piccolo faceva fatica a fare le scale, camminava male. In prima media anche, e i compagni di classe hanno iniziato a prenderlo in giro, sfotterlo, fargli i dispetti, a volte hanno tentato di buttarlo giù dalle scale“.

Poi? “Poi feci intervenire una docente e tentammo, con le evoluzioni dell’ortopedia, l’intervento che ha risolto la displasia dell’anca, raddrizzando la schiena di mio figlio. Il resto, lo ha fatto qualche lezione di nuoto”.

Dunque, ecco il lieto fine.

“No, perchè il trauma psicologico è rimasto. Non si è mai più ripreso, al liceo è sempre stato introverso, timido, non secchione perchè non andava nemmeno troppo bene a scuola. Semplicemente solo e isolato. Abbiamo tentato tutte le strade: il collegio, il tempo pieno, psicologi, pscichiatri, sociologi…ma niente. E’ rimasto “rallentato”, ma in realtà il cervello funziona alla perfezione, la psiche no. L’hanno definita “sindrome sociale da post bullismo“.  Non ha mai avuto amici, compagnie, ragazze”.

Ed ora? “Ha 22 anni. Gioca ai videogame, sta al computer. Ha un cellulare che usa solo per comunicare con noi, me e suo padre, sta in casa, tutto il giorno. Non ha voluto fare l’università, non fa sport e non lavora. Ogni offerta che io e suo padre faticosamente gli troviamo la rifiuta per paura di farlo male, di sbagliare, di fare danni”. 

E? “Abbiamo paura. Per il suo futuro, per lui. Per questo faccio un appello ai genitori: insegnati i vostri figli a non fare male ai loro coetanei, a non isolarli. Non lasciateli soli, non permettere a nessuno dei vostri figli di sentirsi diverso, o che siano loro a far sentire diverso qualcun’altro”.

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