Diritti civili al centro della campagna elettorale, ma cosa può cambiare?

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La campagna elettorale in vista delle politiche del 4 marzo è già entrata nel vivo e, tra gli altri, i partiti sembrano avere un argomento particolare in comune, ovvero i diritti civili. Da più parti, infatti, si è discusso della possibilità di metter mano alle normative che regolano in settore e, in particolare, di rivedere la legislazione relativa alle cosiddette unioni civili.

Le unioni civili e i contratti di convivenza

Come si ricorderà, il giorno 11 maggio 2016 il Parlamento ha approvato a larga maggioranza (nell’ultimo voto alla Camera ci sono stati 372 favorevoli, 51 contrari e 99 astenuti) la cosiddetta “legge Cirinnà“, che tra le altre cose regolamenta le unioni tra persone dello stesso sesso e che per la precisione si intitola “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, visto che, come ben sottolinea anche l’approfondimento del portale di consulenza legale avvocatoaccanto.com, introduce anche questa tipologia di contratto.

Abolire la Cirinnà?

A distanza di un anno e mezzo da quel voto ci sono partiti che ancora “promettono” la revisione o addirittura la cancellazione della legge, facendo leva su un sentimento popolare che sembra essere contrario alla canonizzazione delle coppie omosessuali. In realtà, è stata la stessa relatrice e promotrice della legge, Monica Cirinnà, a chiarire che queste discussioni si basano, sostanzialmente, sul “nulla” o, per meglio dire, solo sulla volontà di conquistare qualche voto in più.

Un passo indietro impossibile

Secondo l’ex senatrice (anche lei in lizza per la riconferma nella vicina tornata elettorale), non è pensabile né possibile tornare indietro sul fronte delle unioni civili, e chi afferma il contrario dimentica o trascura il contesto che ha portato all’emanazione della norma. Monica Cirinnà spiega nel dettaglio come la legge 176/2016 abbia “un serio fondamento costituzionale nella sentenza Corte Cost. 138/2010”, che stabiliva che “riservare il matrimonio alle coppie eterosessuali non è incostituzionale”.

I riconoscimenti della materia

Non bastasse questo punto, poi, bisogna aggiungere anche che una sentenza successiva della Corte costituzionale (la numero 170 del 2014) ha ribadito questo principio, definendo il riconoscimento delle unioni civili omosessuali un diritto fondamentale, mentre nel corso del 2015 l’Italia ha subito una condanna da parte della Corte europea dei diritti umani per i ritardi accumulati nella regolamentazione del settore. In dettaglio, l’ente si pronunciò sui diritti delle coppie gay in Italia e i giudici di Strasburgo sanzionarono il nostro Paese per violazione dell’Articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ovvero la parte che garantisce la vita privata e familiare e che stabilisce che ci deve essere una protezione dell’ordinamento anche per le relazioni affettive tra persone dello stesso sesso.

La battaglia sui diritti civili

La strada del riconoscimento delle unioni civili in Italia è stata d’altra parte lunga e tortuosa, e secondo le ricostruzioni più efficaci inizia più di 30 anni, nel 1986, quando l’associazione Arcigay presenta una prima proposta normativa; seguono decine di disegni di legge, elaborati anche sulla scia di risoluzioni del Parlamento europeo che esortavano gli Stati membri ad abolire ogni forma di discriminazione nei confronti degli omosessuali, e sembra arrivare a un punto di svolta nel 2008, quando il ddl sui “DICO” viene affondato poco prima dell’approvazione. Bisogna dunque attendere quasi 10 anni per arrivare alla Legge Cirinnà, che al momento rappresenta l’approdo finale di questa battaglia.

 

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