Cresce il riciclo in Italia: il punto sulla lotta all’inquinamento causato dalle plastiche

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Buone notizie sul fronte della gestione dei rifiuti e sullo sviluppo dell’economia circolare dei materiali di recupero: secondo il rapporto “L’Italia del riciclo 2017” (diffuso da Fise-Unire e dall’Associazione per lo Sviluppo Sostenibile), nell’ultima annata considerata la quota dei materiali di imballaggio correttamente avviati al riciclo si è attestata attorno agli 8,4 milioni di tonnellate, portando al 67% il rapporto tra gli involucri riciclati e il totale di quelli immessi in commercio.

In particolare, la quota dei materiali plastici di recupero trasformati in nuova materia prima è stata pari all’83% del totale.

Il dato italiano sul successo delle logiche virtuose alla base della raccolta differenziata dei rifiuti e del riciclo è senza dubbio molto incoraggiante. In media, i comuni italiani hanno raggiunto una quota di rifiuti riciclati pari al 52,5% del totale, percentuale migliorabile, ma che colloca comunque il paese ai primi posti in Europa in quanto a risultati nella gestione degli scarti urbani e industriali.

D’altro canto, il problema dello smaltimento delle plastiche rappresenta già da anni una minaccia per la salute dell’uomo e dell’ambiente a livello globale.

Secondo dati stimati dalla University of California di Santa Barbara, nel 2015 la produzione mondiale di plastiche si attestava attorno ai 448 milioni di tonnellate. Di questa, la stragrande maggioranza era rappresentata da prodotti utilizzati nell’ambito del packaging, caratterizzati, per definizione, da un ciclo di vita molto breve. A livello mondiale, solo il 9% dei materiali plastici prodotti ogni anno viene correttamente riciclato. Il 12% viene smaltito attraverso inceneritori e termovalorizzatori (contribuendo comunque all’incremento dell’inquinamento ambientale) mentre la quota restante finisce nelle discariche, dove va incontro ad un processo di degradazione che può richiedere centinaia di anni.

Già nel 2015, il comparto del recupero e del riciclo dei materiali di scarto generava un giro di affari pari a circa 23 miliardi di euro in Italia, vale a dire una somma equivalente ad un punto percentuale del PIL di allora.

Le logiche dell’economia circolare trasformano a tutti gli effetti un problema (lo smaltimento dei rifiuti) in una risorsa (una materia prima rigenerata) con benefici sia a livello economico che ambientale.

A partire dal PET (polietilene tereftalato), dal PP (polipropilene) e dall’HDPE (polietilene ad alta densità) attraverso processi di selezione del materiale, lavaggio, centrifugazione e triturazione, vengono ottenute scaglie e granuli di materiale plastico che possono essere impiegati per molteplici fini: dalla produzione di nuove bottiglie e flaconi, a quello di buste shopper e fibre tessili, fino ad arrivare agli stessi bidoni per la spazzatura impiegati per la differenziata.

Le dimensioni del problema del corretto smaltimento degli imballaggi in plastica risultano tanto più evidenti quando si considera la quantità di rifiuti di questa tipologia che si riversa nei mari e negli oceani di tutto il mondo: oltre 8 milioni di tonnellate l’anno secondo le stime ufficiali.

Il cosiddetto “marine litter”, ovvero l’inquinamento degli ecosistemi marini causato dall’accumulo di involucri, imballaggi e oggetti in plastica rappresenta una minaccia diretta alla sopravvivenza di molte specie animali. In più, le minuscole particelle liberate dalle plastiche nel corso della loro lenta degradazione e le fibre rilasciate dai tessuti sintetici durante i lavaggi risultano ormai presenti in tutti i livelli della catena alimentare e nelle acque di tutto il mondo, da quelle delle reti idriche delle grandi metropoli a quelle dei laghi nelle località più incontaminate, con conseguenze per la salute dell’uomo in larga parte ancora sconosciute.

La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che il recupero delle plastiche riciclabili rappresenti un fattore di primaria importanza nella tutela della salute e dell’ambiente. Tuttavia, l’unica vera soluzione all’annoso problema della gestione dei rifiuti resta quella di adottare politiche che ne riducano la produzione.

In Italia, a partire dal primo gennaio di quest’anno è ufficialmente entrato in vigore il nuovo regolamento che vieta il ricorso alle buste in plastica impiegate per il confezionamento dei prodotti ortofrutticoli nei supermercati e in tutti i punti vendita della GDO.

Il tradizionale sacchetto sarà sostituito dalle shopper biodegradabili (come già avvenuto in passato per le vecchie buste della spesa), riutilizzabili anche per la raccolta dei rifiuti organici.

Salutato con entusiasmo da associazioni ambientaliste come Legambiente, il provvedimento è stato invece criticato dal Codacons, dal momento che a differenza di quelli tradizionali, il costo per l’acquisto dei nuovi sacchetti sarà a carico dei consumatori. Va sottolineato, tuttavia, che secondo uno studio di Assobioplastiche, la spesa aggiuntiva si aggirerà, in tutto, tra i 4,17 e i 12,51 euro per famiglia all’anno.

Tra le altre novità in tema di ambiente e divieti, c’è quella relativa ad un oggetto in apparenza del tutto innocuo, ma dal potenziale inquinante molto elevato: il classico cotton-fioc.

A partire dal 2019, in Italia sarà bandita la produzione e la vendita di quelli con bastoncino in plastica non biodegradabile: spesso erroneamente smaltiti attraverso lo scarico di lavandini e wc, questi piccoli oggetti riescono a superare i filtri dei depuratori raggiungendo i mari e le coste, dove, secondo calcoli dell’Enea, sono oggi presenti in più di cento milioni di unità.

A gennaio del 2020, sarà invece la volte dei prodotti cosmetici contenenti microplastiche, come dentifrici e creme esfolianti.

Lo scorso febbraio era il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) a fare il punto sull’inquinamento causato dalle plastiche: in assenza di politiche mirate a favorire il passaggio a materiali ecocompatibili e il recupero dei rifiuti non biodegradabili, nel 2050 la quantità di plastica dispersa nell’ambiente raggiungerà la spaventosa cifra di 12 miliardi di tonnellate, mentre nei mari saranno presenti più rifiuti in plastica che pesci.

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