Stupro Raf via Testi: condannati Concari, Cavalca e Pucci

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Stupro di gruppo al collettivo antifascista: dopo sette anni dall’episodio tutti gli imputati sono stati condannati in primo grado dal collegio giudicante presieduto da Mattia Fiorentini.

Quattro anni e otto mesi per Francesco Concari, ora 31enne, e Francesco Cavalca, 27enne (i due parmigiani). Quattro anni invece per il romano Valerio Pucci, 25 anni. Per loro anche l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e il pagamento delle spese processuali oltre al risarcimento di 21 mila euro alla vittima.

La vittima, l’appena 18enne ai tempi e oggi 25enne, chiamata Claudia per nascondere il suo vero nome e identità, era stata stuprata dal branco nel 2010 nella ex sede del Raf, rete antifascista, di via Testi.

In quel palazzo una festa che si era trasformata, nel cuore della notte, in un incubo per la giovane che priva di sensi era stata abusata sessualmente dai tre. La ragazza si era svegliata la mattina dopo, nuda e violata. La principale prova, un video: ripreso con un vecchio telefono mostra la violenza perpetuata a turno dai ragazzi, coetanei di Claudia, mentre lei era inerme.

Gli avvocati difensori hanno provato a dimostrare la coscienza e consensualità della giovane ieri in aula mostrando alcuni frame di un video ma per i giudici non è bastato.

leggi la ricostruzione di quella notte: Stupro di gruppo al Raf di Via Testi: ascoltata la vittima

Presente in aula del Tribunale, tra gli imputati, solo Francesco Concari. Ad assistere anche la vittima, Claudia. Fuori a dar sostegno alla giovane alcune ragazze.

Si chiude un capitolo di una storia fatta di omertà, paura e squallore. La vittima aveva infatti per anni taciuto la violenza per le pressioni arrivate da amici degli aggressori, quattro persone che dovranno rispondere di favoreggiamento, e falsa testimonianza: A.S di 23 anni, D.D.P. di 29 anni, entrambi di Parma e R.G. di 28 anni di Reggio, M.D.P., 26enne del milanese. Avrebbero inquinato le prove fornendo anche testimonianze a favore degli stupratori.

Durante il processo si era anche tentato di dimostrare il dubbio dell’onestà intellettuale di Claudia, lo ha riferito ieri l’avvocato concluso il processo, ma lo aveva confessato la vittima stessa, affetta da una patologia psicologica, in un lungo post su Facebook dopo un incontro in aula di Tribunale, nei mesi scorsi, con un perito psichiatrico.

All’inizio delle indagini e del processo sei i coinvolti: per uno venne confermata l’estraneità essendo all’estero al momento del fatto, per un altro la posizione è stata stralciata per un vizio di forma ma è stata disposta nuova notifica degli atti, assolto un terzo che aveva scelto il rito abbreviato.

Con la condanna si conclude un lunghissimo iter giudiziario, che ha visto il Gip chiedere la libertà nonostante il pm avesse optato per i domiciliari, domiciliari cui si è opposto anche il Tribunale del Riesame di Bologna e la Cassazione, rispedendo il solo Cavalca, di nuovo al Riesame, per poi finire alla detenzione domestica.

Fino alla condanna. Quasi sette anni dopo quel maledetto 12 settembre, un anno dopo la mobilitazione sul web.

Rileggi: Cavalca e Concari stupratori

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