Loris Tonelli: “Giglio, Bolognino, l’inchiesta Venus. Le mie verità”

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Un uomo che ammette le proprie colpe, è pronto a pagare per esse ma non accetta responsabilità e coinvolgimenti che non ha, come quegli imputategli da Giuseppe Giglio, superperito dell’inchiesta Aemilia, che in alcuni interrogatori ha parlato di lui come socio occulto della famiglia Bolognino (LEGGI).

Lui è Loris Tonelli, parmigiano, 43 anni, ex imprenditore della notte che oggi fa il ristoratore a Managua, Nicaragua, in attesa della condanna definitiva. Parlando con lui esce il ritratto di un uomo vittima forse di se stesso e della propria fame di potere che ora vorrebbe solo recuperare la stima della propria famiglia.

Partiamo dall’inizio: chi è Loris Tonelli? “Nasco a Parma, come imprenditore incomincio a lavorare con una piccola quota nel night club a Colorno, il Bataclan, che in pochi anni arrivo a rilevare per 250 mila euro. Dopo poco tempo compro il Gattopardo a Sant’Ilario per un valore di 200 mila euro, poi, grazie a buoni incassi, apro a Bagnarola il Blu notte”.

Ma la fame di successo non si ferma. “Il lavoro va alla grande,  volevo diventare il numero uno a Parma” – riavvolge il nastro Tonelli, come fossero manciate di vita che gli si ripropongono – “mi serviva un locale di spicco che tutti conoscevano, così comprai il Gatto Azzurro per un valore di 400 Mila euro e lo chiamai Diana Park”.

Col successo, i problemi. “Ero salito troppo in fretta, iniziavo a dare fastidio. Ma io non volevo tornare indietro, ero diventato il numero uno a Parma, mi sentivo arrivato, fatturavo 100 mila euro mensili, dandomi uno stipendio dai 20 ai 25 mila. Questo è la dimostrazione che nn avevo alcun bisogno di soci.

Poi sono arrivate le prime telefonate anonime, le minacce di morte, le bombe a carta nel Diana Park, l’auto, una Bmw X6, fatta saltar in aria, e ho chiesto aiuto a Giuseppe Giglio”.

Quindi lo conosce? “Certo. Lui si che era un boss, veniva nel locale, era stimato da tutti, temuto”.

E con Bolognino che rapporti ha?  “Un amico educato, frequentava il Diana Park, beveva analcolici, mi era ed è molto simpatico. Ma era senza soldi e senza conoscenze, solo un gran lavoratore, non aveva nulla del boss. Per questo facemmo insieme il Freee, ex Astrolabio. Io misi i soldi, il suo compito era aiutarmi nella gestione del personale, tenere buoni i dipendenti quando stavo finendo i soldi e non li pagavo, portare gente”.

Bolognino stesso ha ammesso di essere un ‘ndranghetista. “Io non lo sapevo, a me non lo ha detto”.

Vuole dire che non se ne è mai accorto? “Mai”.

Giglio sostiene che lei fosse il prestanome di Bolognino per numerosi night e locali vari. “Non è vero, non ne avevo bisogno. Avevo successo e soldi, non mi serviva essere testa di legno di nessuno”.

E allora perché Giglio dice così? “Perché Giglio non spiega che le conoscenze dei Megna,  Arena, Salvatore Cortese e vari altre che ho fatte perché lui li portava a Colorno pagando tutti e tutto? Perché non spiega che mi prestò trentamila euro per una quota al Bataclan che io gli restituii per paura che mi portasse via il locale? Dovrebbe chiederlo a lui perché mente”.

Conosce altre persone coinvolte nell’inchiesta Aemilia?  “Conosco Macri, perché suo figlio giocava con il mio nel Parma calcio. E della famiglia Bolognino conosco anche i due figli grandi, lavoratori onesti che anche senza stipendio, sapendo che ero in difficoltà, venivano al Freee a darmi una mano”.

Cosa mi dice dell’inchiesta Venus (un pasticciaccio di prostituzione e favoreggiamenti vari nei nightclub che mise nei guai anche poliziotti, vigili urbani, altre carico di spicco, sette nightclub, oltre 40 persone, LEGGI)? . Come è cambiata la sua vita? “Io sono andato davanti al gup e ho detto la mia verità. Tutte le dichiarazioni che ho fatto le ho fatte auto accusandomi, denunciandomi, ho parlato del mio lavoro, quello degli altri non lo conosco. Questa indagine mi ha cambiato molto, ha sconvolto la mia vita, quella della mia famiglia, di cui tuttora sto cercando di conquistare il rispetto.

Tonelli figliaOggi lavoro 12 ore al giorno al ristorante,  faccio di tutto ma sono felice.  Non guadagno quasi nulla, sono lontani i tempi dei 25 Mila euro. Se prendo 400 euro mensili mi ritengo fortunato, perché sono vivo. Ho un socio nicaraguense, per ragioni burocratiche, e vado avanti, in attesa di tornare in Italia, al termine dell’inchiesta Venus, per pagare il mio debito con la giustizia, io non scappo. Sono venuto in Nicaragua perché avevo solo 80mila euro, altrove non avrei potuto aprire un ristorante, non per scappare”.

Le prossime mosse? Sperare che i giudici mi sentano via skipe per spiegare la verità su me e Bolognino nel frangente dei locali, spiegare che io non ero il prestanome di nessuno”.

Poi? “Poi chissà, ci sarà un domani anche per me”.

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